Ha riscosso un ottimo successo “Splendori”, mostra di sculture in ceramica inedite che raccontano il percorso artistico e intellettuale di Giorgio Crisafi, allestita al Museo Colle del Duomo di Viterbo.
L’esposizione dell’artista originario di Todi è stata organizzata dall’associazione ternana CavourArt, curata da Enrico Mascelloni e Franco Profili.
Sono opere dal significato non immediato, quelle di Giorgio Crisafi, che instaurano una connessione con le epoche e gli stili del museo, uno scambio sinergico tra patrimonio storico-artistico della città di Viterbo e produzione artistica contemporanea di Crisafi.
L’artista mette in scena uno spettacolo continuo con le sue sculture in ceramica invetriata, perlopiù lunghe e slanciate, dalle superfici riccamente decorate, attraverso cui la presenza umana è spesso più evocata che palesata. È un linguaggio espressivo del tutto personale che mette in equilibrio forme, anche geometriche, luce e colore. Il linguaggio dei sentimenti, della fantasia, della visionarietà che si formalizza principalmente in forme ascensionali, lineari, evocative, arcaiche, esotiche, finemente cesellate.
“Per Giorgio Crisafi questo lavoro è stato molto corposo, spiega il curatore Franco Profili, perché a parte un’installazione tutto il resto è stato costruito da lui negli ultimi mesi a misura di quanto proposto dalla collezione permanente di questo museo e il risultato è credo assolutamente degno, assolutamente strepitoso. Tanto che verrebbe da pensare che queste opere, se non tutte, alcune potrebbero restare in permanenza dentro questo museo in un dialogo perfetto con quanto il museo propone di suo”.
“Sono una quarantina i lavori che abbiamo portato in questo museo, aggiunge l’artista, cercando di fare una cosa importantissima: farli dialogare con le opere del museo. Per esempio in una stanza del museo particolarmente importante c’è una Crocifissione, è un lavoro Michelangiolesco e abbiamo messo ai lati di questo importante quadro del museo due miei lavori in bianco e oro. Sono come due guardiani, come due apparizioni. Il bianco che è il colore del candore, ma anche il colore del lutto per altre culture come per esempio quella giapponese. Per cui vicino alla Crocifissione abbiamo voluto mettere questi due lavori in modo da far dialogare la vita con la morte. Questo dialogo, lo stesso concetto, si ripete anche in altri spazi, nelle altre stanze.”
“Doppia chiave di lettura, evidenzia il critico d’arte Enrico Mascelloni, per questa mostra di Giorgio Crisafi: da un lato il suo rapporto, che non è episodico, ma anche abbastanza profondo, con l’oriente, con le sue sculture, i suoi monoliti tatuati che rimandano in qualche modo al mondo mesopotamico e dall’altro il fatto che lui riesce a far volare queste sue opere da quel mondo, nel tempo, al nostro che è un altro tempo e anche nello spazio perché sembrano rimbalzare dall’Oriente e tornare a noi. E comunque al di là di tutto l’arte di Giorgio, le sue sculture, le sue ceramiche riescono a comunicare con il mondo e questo è sempre segno di un’arte che vale la pena di vedere, che vale la pena di vivere, che val la pena di viverci intorno”.
Al finissage della mostra di Crisafi era presente anche l’amico attore Blas Roca Rey.
“Conosco Giorgio da molti anni, abbiamo lavorato insieme io da attore lui da regista. Ho seguito, anche se un po’ da lontano, questa sua trasformazione, questo suo passaggio all’interno del mondo dell’arte, dal palcoscenico del teatro alla ceramica, alla scultura. L’ho seguito con particolare affetto perché mio padre era scultore e si conoscevano, tra l’altro il suo maestro Piero D’Orazio era amico di mio padre, quindi è una storia che si intreccia in continuazione. Questa è una mostra, come tutte le mostre quando si trovano a doversi integrare con una struttura preesistente come un museo, che è una scommessa perché devi avere un equilibrio, ardito e coraggioso, devi essere integrato e accordato con lo strumento del museo mantenendo la tua personalità e anzi sfruttando, in senso buono, quello che è il contenitore, quello che diventa provvisoriamente lo sfondo della mostra. A me sembra che Giorgio ci sia riuscito perfettamente.”