Di Chiara Furiani
Difficile sintetizzare in poche righe la ricchezza e le tante sfaccettature di un evento veramente straordinario, anzitutto dal punto di vista musicale, ma non solo.
Difficile anche scegliere i migliori artisti e le proposte più convincenti di un cartellone complessivamente superlativo.
Volendo comunque citare alcuni artisti in particolare tra quelli ascoltati, inevitabile partire da Made Kuti, il nome di punta con cui il “Sauti za Busara” ha deciso di chiudere la sua ventunesima edizione.
Degno erede di una dinastia tra le più illustri del mondo musicale internazionale, Made è nipote del grandissimo Fela Kuti, una delle figure più rappresentative della cultura musicale africana – e non solo – del ‘900.
Il musicista e cantante nigeriano si è esibito con una band stellare di 12 elementi con tanto di corpo di ballo davvero fenomenale.
Fuoco e fiamme in un crescendo trascinante, adrenalinico, sui ritmi di un afrobeat esplosivo.
Un festival che ambisce ad essere panafricano, rappresentativo di tutto il continente, non poteva non dare spazio anche all’Africa del Nord.
Dall’Algeria il duo Ita & Mehdi, protagonista di una interessantissima e accattivante fusione tra le tipiche sonorità arabeggianti di quell’area e l’elettronica.
Altrettanto trascinante e ulteriore testimonianza del grande fermento che caratterizza la cultura africana, la proposta di Sibu Manai dalle Isole Reunion.
Un elettro-pop di grande raffinatezza il suo, per una vocalità di gran classe.
Dal Mozambico invece la band di Stewart Sukuma, potente, un sound inarrestabile.
Non poteva naturalmente mancare anche uno spaccato più prettamente folclorico: di grandissimo interesse, l’esibizione a cappella di un ensemble di autentici guerrieri Maasai dal Kenia.
A margine, alcune note di colore.
Vastissima, vivace e particolarmente attiva la componente femminile, non solo a livello artistico (memorabile la grande bassista sudanese Islam Elbeiti), evidente espressione di un mondo davvero più articolato, avanzato e consapevole di come lo immaginiamo noi dall’altra parte del Mediterraneo.
Una realtà in cui, in particolare in Tanzania, convivono spesso pacificamente e interagiscono tante componenti culturali e religiose diverse, in una prospettiva di reciproco arricchimento.
Moving diversity (mettere in moto la diversità) è stato, non a caso, il motto del festival 2024: “la musica ci insegna a rispettare le nostre differenze e vedere le diversità come positive”.