La guerra continua. Per la vicenda della ricostruzione del teatro Verdi non si cava un ragno da un buco, non perché si vuol fare come ci pare senza tener conto di regole e regolamenti, ma perché la Soprintendenza non fa quello che si decide in qualche assessorato a Terni. E’ questo il pensiero della maggioranza che governa il Comune.
La colpa è sempre di qualcun altro: di quelli di prima che si sono spesi tutto; che non hanno azzeccato una mossa; che hanno deciso questioni che ormai sono come legge e che – ma guarda un po’ – non ci consentono di fare così come abbiamo deciso in quattro o cinque. Di quelli di prima e, naturalmente, della Soprintendenza ai beni culturali la quale in passato è andata incontro alle richieste del Comune. Ora però, siccome il colore della bandiera sul pennone è cambiato, dovrebbe tornare sui suoi passi. E risponde nisba. Un’altra volta. Questa Soprintendenza che non vuol mettere vincoli dove vogliamo noi e non vuole toglierli sempre dove vogliamo noi che siamo corroborati dal parere altamente scientifico di studiosi dei bicchieri di carta e piatti per pic nic: altro che i loro professoroni o architetti.
Se n’è occupato, del Verdi, il consiglio comunale. Di nuovo. E’ finita col solito atto d’indirizzo, ossia con un’affermazione di principio, la manifestazione di un pensiero. Tale è: l’indicazione di una linea politica. Comunque ognuno ha potuto dire la sua, in consiglio.
Il Verdi? Dev’essere un teatro, quello che il Poletti progettò nel’Ottocento e che era misurato sulle esigenze di allora: i palchetti, la buca per l’orchestra, servizi che oggi farebbero gridare allo scandalo, e quant’altro. La giunta comunale prima del ’18 chiese un vincolo alla soprintendenza. Un vincolo che difendeva il Verdi dalla possibilità che qualcuno alzasse l’ingegno e provasse a farlo diventare una negozio, una pizzeria, un residence di miniappartamenti. Il Verdi era un cinema teatro, o meglio un teatro adattato per essere anche cinema. Per decenni è stato gestito da privati in convenzione col Comune: teatro sì, ma poi siccome alla fine dell’anno i conti devono quadrare, il gestore che manteneva e manuteneva il fabbricato e tutto quel che c’era dentro, per rientrare e guadagnare proiettava film. Il Comune utilizzava il Verdi gratuitamente sulla base di quella convenzione.
Quale privato gestirebbe una struttura che con molta probabilità darebbe più grattacapi che guadagni? Perché, basta guardare esperienze varie in Italia, di solo teatro si vive male. C’è qualche buon samaritano che intende immolarsi sull’altare della patria? O ci penserà il Comune, magari in house com’è accaduto per un periodo con la Cascata delle Marmore?
Terni ha bisogno di un teatro, è stato il coro in consiglio comunale. Certo che sì. Ma chi paga?