Di Chiara Furiani
Che valore ha l’arte?
Ha ancora senso spendere la propria vita, le proprie energie, nella creazione di una realtà fantasmatica che puo’ finire per risucchiare la vita vera?
Sembra essere questo l’interrogativo, la vexata quaestio, che sottende l’ultimo lavoro della celebrata compagnia belga di teatro-danza Peeping Tom.
“S 62° 58’, W 60° 39’“: sono delle semplici, ma dettagliatissime coordinate geografiche a denominare questa piece.
Un ossimoro in realtà, perché ciò che vediamo in scena e’ un barcone arenato in mezzo ai ghiacci e un gruppo di esseri umani che paiono aver totalmente perso la bussola.
Al massimo della precisione dei numeri, si associa cioe’ l’assoluto caos che sembra dominare il vissuto dei personaggi, ma anche l’esistenza stessa degli attori che danno loro corpo.
C’è infatti un continuo slittamento tra due piani, quello dello script (una compagnia di persone che per imprecisati motivi si trova in Antartide, in un’imbarcazione bloccata in mezzo al nulla) e quello della vicenda personale degli attori, che interagiscono col regista, fuori scena, smaterializzato quindi.
Una voce che si sforza di dare una direzione ai propri “figli”, che pero’ sono sempre più insofferenti a questa figura che pretende di orientarne i destini, sempre più ribelli a questo demiurgo, o dio, che li vorrebbe plasmare a propria immagine e somiglianza.
Un classico esempio di teatro nel teatro quindi, con la realtà che sembra sempre di più prendere il sopravvento.
Fino all’ultimo, disperato soliloquio del principale attore maschile, che materialmente inscena l’irruzione definitiva del reale, mettendosi letteralmente a nudo e squarciando l’ultimo diaframma protettivo nei confronti dello spettatore, la quarta parete.
L’ultima parte della piece si svolge infatti tra il pubblico, con Romeu Runa che si espone a lungo senza filtri ne’ remore, così come mamma l’ha fatto, e interagisce con gli astanti, raccontandosi e mostrandosi con tutte le sue fragilità, implorando, quasi, di essere ascoltato, amato e richiedendo infine che qualcuno dal pubblico gli si avvicini e lo abbracci.
E questo avviene, alla fine: un ragazzo, poi una ragazza, lasciano le proprie comode poltroncine, accettano la sfida e si affiancano all’attore.
Un finale che, nella sua “scandalosa” crudezza, potra’ senza dubbio risultare indigesto a un bel po’ di spettatori, ma in realtà e’ tutt’altro che gratuito.
Se una risposta al nostro quesito iniziale e’ possibile, allora forse e’ proprio questa: l’artista si disvela, mette in scena se stesso e i suoi nodi in una coazione a ripetere che non può essere di solo solipsistico narcisismo, ma acquisisce senso quando e’ messa in comune con lo spettatore, in quell’antico rito del teatro che si fa catarsi per chi sta sul palco, ma anche per chi guarda, dalla notte dei tempi.
L’artista e’ l’antenna, il sacerdote di una comunità in cammino che nelle sue storie può rispecchiarsi, riconoscersi e sciogliere i propri nodi.
Piece di grande efficacia quindi, sul senso stesso di fare teatro.
A 25 anni dalla fondazione della compagnia, dopo un’intensa ricerca partita soprattutto dalla danza ed approdata oggi principalmente alla dimensione del teatro di parola, a uno spartiacque esistenziale e creativo, forse in una secca senza apparente via di uscita, così come quel vascello arenato tra i ghiacci che vediamo in scena, il regista e autore Franck Chartier ha costruito il suo personale “8 e 1/2”, si e’ interrogato insieme ai suoi attori sul proprio percorso e coi suoi “personaggi in cerca d’autore” ha fatto centro; lasciando negli astanti la sensazione di non aver assistito al “solito spettacolo”, bensì di essere stati coinvolti in una sorta di psicodramma alla ricerca non solo del senso del creare, ma del senso stesso dell’esistere.
Domanda a cui forse non puo’ esserci risposta se non in quell’abbraccio finale col pubblico.
Arte come messa in comune quindi, costruzione insieme di senso a partire dalla propria imperfetta singolarità: come nella splendida Chiesa Blu del Rione Sanità, esperimento sociale dal basso ove la creazione artistica ha coinvolto la comunità di un quartiere difficile, germinando bellezza e rinascita.
Dopo un intenso tour in giro per il mondo, Peeping Tom e’ in scena al teatro Bellini di Napoli fino al 9 marzo compreso.
Splendido teatro storico all’italiana che da solo varrebbe una visita, per di più posizionato in un meraviglioso contesto, in pieno centro storico e con un validissimo calendario.
Tra i tanti nomi in programma, Emma Dante e Antonio Latella, tanto per capirci.
Ciliegina sulla torta, il Bellini propone a fine spettacolo un incontro tra compagnia e pubblico, con la possibilità di porre quesiti.
Una bella abitudine dei tempi andati che oggi e’ una vera rarita’, ma che regala invece una occasione imperdibile per entrare maggiormente in contatto con lo spettacolo e la compagnia.