“Durante i secoli l’uomo, nel suo cammino, ha cercato di dare un senso agli avvenimenti imposti dalla natura, facendo così nascere quelle tradizioni che, tuttora, sono oggetto di mistero”.
Così Maria Cristina Locci responsabile del Gruppo Archeologico DLF di Terni ha introdotto l’incontro culturale dal titolo “Un’antica leggenda sarda: le panas” tenuto dalla professoressa Lucia Maria Tanas.
“La nostra relatrice, ha aggiunto Maria Cristina Locci, ci ha mostrato come antiche terre, in tal caso la Sardegna, racchiudono un’immensa eredità storica, antropologica e culturale, spesso imprescindibilmente legata al territorio da antichi racconti, leggende, credenze, tradizioni, storie fantasiose mescolate alla realtà, le cui radici affondano nella magia. Un autentico patrimonio culturale che si rivela parte integrante di un popolo”.
Nel mondo leggendario sardo una delle storie più affascinanti, che affonda le sue radici nella civiltà nuragica, è quella delle ‘panas’, le anime delle donne morte di parto obbligate a vagare ogni notte alla ricerca di un ruscello o un lavatoio per lavare i propri panni sporchi di sangue e quelli dei loro sfortunati bambini per sette anni consecutivi.Secondo la leggenda svolgevano quest’incombenza con uno stinco di morto per battere i panni. Non si potevano disturbare perché l’interruzione del loro lavoro avrebbe prolungato il supplizio di altri sette anni. Erano innocue, ma potevano diventare vendicative se venivano interrotte e la loro vendetta poteva essere tremenda come il loro destino. Affinché la giovane morta non divenisse ‘panas’ i parenti lasciavano nel sepolcro un ago con filo senza nodo, una pezza di tela, un paio di forbici, un pettine e un ciuffo di capelli del marito, così da tenersi occupata per non andare a fare la lavandaia. Un altro modo per espiare il castigo della defunta era quello che per sette anni i familiari lavassero un camicino o una fascia di neonato, mettendola ad asciugare.
La maledizione alle donne morte di parto veniva inflitta dalla Morte stessa in quanto il decesso era avvenuto in un momento particolare della loro esistenza considerato “impuro”.La tradizione ricorda, infatti, che la donna dopo il parto si trovava in una condizione impura e vi rimaneva per quaranta giorni, dopodiché si recava in chiesa per essere purificata.
“Questo rito di purificazione, spiega la professoressa Lucia Maria Tanas, lo ritroviamo nella tradizione cristiana della Candelora: quaranta giorni dopo Natale si celebra la presentazione di Gesù al tempio e nello stesso tempo la purificazione della Madonna. Nella leggenda sarda questo rito prende vita con il “s’incresiu”: la donna reca in una mano un cero e nell’altra un cestino con dei doni, il prete l’accoglie sulla porta della chiesa, la conduce verso l’altare, la benedice, accende la candela ella donna è purificata. Questo rito “s’incresiu” era in vigore in Sardegna fino a pochi anni fa”.