Fa bella mostra di sé, in Piazza IV Novembre a Narni di fronte al Monumento ai caduti: è in ottima salute e basta guardarlo per rendersene conto. Il cono d’ombra del grande leccio sviluppa ormai molti metri e sotto la sua ombra è facile trovarvi refrigerio. Non mostra volentieri la sua carta di identità, 225 anni, tondi tondi, non tanto per l’età ma per l’augusto genitore, il generale Louis Alexandre Berthier, comandante dell’Armata, forte di 14.000 uomini, che se ne ritornava da Roma verso la sua Parigi. Il generale non derogò dalle abitudini dei rivoluzionari d’Oltralpe: saccheggiare qualsiasi risorsa cittadina e poi piantare Alberi della Libertà in ogni dove. D’altra parte, era il simbolo della Rivoluzione Francese ed anche della libertà, appunto, esportata sulla punta delle baionette, un uso che sembra sia stato ben ricopiato anche ai giorni attuali. Per farla breve era lì che si poteva discutere, deliberare fare comunità. E lo piantò.
Mauro Agostini, politico di lungo corso, è stato deputato, senatore ed anche viceministro, e adesso in prevalenza storico, non ha dubbi sul fatto che quello sia proprio l’albero della libertà, del generale.
Ma poi si scopre, dalla Cronistoria Narnese di Edoardo Martinori, che se è vero che il generale un Albero della libertà lo piantò, un altro lo recise, andandolo a cercare nel boschetto davanti alla Chiesa di san Girolamo. E il tronco lo portò in Piazza del Lago, poi Garibaldi, dipingendolo di bianco, rosso e nero ed apponendovi anche il berretto frigio. Il tronco in Piazza del Lago non fu ben visto dai narnesi che tirarono fuori il coraggio e fecero una pasquinata apponendo, nottetempo un bel cartello con su scritto: “Albero senza radiche; berretto senza testa; Repubblica non resta”.
Infine a Berthier non portò fortuna in quanto nel 1815 morì cadendo dalla finestra. In maniera accidentale? Non è dato sapere!