Di Chiara Furiani
In un altrove, qualcosa si muove.
Ancora oggi, in questo disastrato 2025 – e ci si augura per molto molto tempo ancora – esiste un’oasi di bella musica, di arte, di controcultura.
In quel di Chiusi, piccola cittadina in provincia di Siena, ultima propaggine della Valdichiana, un passo dell’Umbria e dal Lago Trasimeno, a inizio luglio è tempo di Lars Rock Fest.
Un mini-festival che dura solo tre giorni, ma più che sufficienti a riempire l’anima di bellezza e a fare scorta in attesa che questa magia si ripeta l’anno successivo.
C’è anche un pezzetto di noi in questa creatura all’apparenza puramente toscana: il direttore artistico si chiama Marek Lukasik, e nonostante il nome non lo faccia pensare, il nostro è un narnese d.o.c.
A questo vulcanico organizzatore si deve la superlativa line-up di quest’anno, che ha portato al parco pubblico di Chiusi scalo un parterre d’eccellenza.
Interpellato, si schermisce: “Non è solo roba mia, c’è il lavoro di tantissime altre persone oltre che di tantissimi volontari”.
Ci crediamo, anche perché è proprio quella l’atmosfera che si respira, quella di una grande famiglia di collaboratori che mettono passione in quello che fanno.
Ma veniamo al dunque.
Domenica 6, ultima serata del festival, una doppietta che meglio non si poteva.
Ad aprire le danze una band che ha pochi eguali sulla piazza: The Heliocentrics, direttamente da Londra, sono fieramente vintage, col loro blend altamente lisergico di psichedelica e free jazz.
Coraggiosi, sfrontati, liberi da sovrastrutture, sperimentatori veri, benedetti dalla carismatica presenza della cantante slovacca Barbora Patkova, una voce da paura.
A chiudere i Karate, un nome, una garanzia.
Dopo qualche anno di stop per problemi di udito, il leader Geoff Farina è tornato a guidare con mano saldissima questo trio granitico, caposaldo dell’indie rock d’oltreoceano.
Non bastano i segni del tempo sui volti a sfaldare la compattezza della band di Boston, che sciorina le proprie perle come se non fosse passato un giorno dagli esordi.
Che dire poi del programma di sabato 5, un vero crescendo.
Convincentissimo il trio bolognese Lostatobrado, coi suoi loop ossessivi.
Pura dinamite gli australiani Party Dozen, anomalo duo sassofono-batteria che ha la potenza di un’orchestra ed energia da vendere.
A chiudere, gli acclamati Black Country, New Road, ampia e variegata compagine di talentuosi polistrumentisti e cantanti che dopo la dipartita del leader Isaac Wood pareva destinata a sfaldarsi e invece, dopo un inevitabile periodo di assestamento, ha pubblicato un nuovo album e prova a reinventarsi, puntando sulle belle voci femminili in dotazione e su un sound piacevolmente prog-folk, impreziosito da complessi intrecci strumentali e vocali.
A condire il già ricchissimo menu musicale, il festival offre anche altre iniziative, mostre, workshop creativi, incontri di discussione.
E tutto, ma proprio tutto, rigorosamente gratuito.