Sul proliferare di opere in alcuni luoghi del centro città, interviene in modo garbatamente polemico, l’architetto Danilo Sergio Pirro. Secondo l’architetto Pirro il rischio che si corre, seguendo questo percorso, è quello di tramandare cose che hanno poco a che fare con lo spazio in cui sono state posizionate, “cose a caso”.
L’INTERVENTO DI DANILO PIRRO
In questi anni abbiamo assistito ad un proliferare nel centro della città di Terni, di una serie di opere d’arte, o così definite, che dovrebbero valorizzare il contesto in cui si trovano. Opere d’arte che “fanno concorrenza” ad altri interventi di arredo urbano, la “storica balena”, i lampioncini di Piazza Tacito, i fusti inox dissuasori nella zona San Francesco, le tensostrutture di piazza dell’Olmo.
L’ultima in ordine di apparizione è il murales, di fronte alla scuola media da Vinci e a da due passi dalla Chiesa di San Francesco, monumento nazionale.
Il tema che si pone è il seguente, queste opere valorizzano effettivamente il contesto, o aumentano il senso di incomprensione, e a volte di “bruttezza” di parte del centro storico della città?
Qualcuno obietta che esperimenti simili sono in atto anche in città come : Madrid, Torino, Milano ecc, senza considerare che queste città sono città di indubbia bellezza, e con una tradizione storico artistica internazionale, anche nell’arte contemporanea. Per cui elementi posti all’interno di mura cittadine, se ben studiati , in contesto di bellezza architettonica e soprattutto di una forte identità culturale, non possono che valorizzare quegli spazi.
Terni purtroppo non ha avuto questa fortuna, il centro storico, ha subito una ricostruzione non di qualità, salvo pochi episodi architettonici, appartenenti ad alcuni maestri dell’architettura del Novecento .
Le opere d’arte dovrebbero però essere d’arte appunto, interpretare un “sentire comune”, un spazio, un luogo, in cui sono posizionate. Non a caso Christian Norberg-Schulz, storico dell’arte, parlava di “Genius Loci”, (lo spirito di un luogo) e lo aveva fatto girando centinaia di borghi, piazze italiane.
Mario Ridolfi quando concepì la Scuola “da Vinci” negli anni ‘60, ebbe come riferimento “spirituale” la chiesa di San Francesco, inserendo in un architettura moderna, elementi “popolari”, come le maiolicature policromatriche, in parte ispirate a quelle del campanile della chiesa stessa, in parte memoria dei “tappeti colorati” stesi alle finestre nelle feste di paese.
Questa è un’arte che guarda alla memoria di un luogo, e si pone in ascolto, non in contestazione. Non abbiamo bisogno di arte di “contestazione” nel centro della città, ma di arte che sappia “spiegare” il senso di uno spazio, di un vuoto, spesso lasciato da episodi drammatici come i bombardamenti.
Perché allora non possiamo meritare un’arte cittadina che non sia solo “arte x l’arte”, ma arte per la città?
Se non lo facciamo rischiamo di lasciare ai posteri non cose belle, ma solo cose a caso.