Dall’Iri alla ThyssenKrupp; da questa ai finlandesi di Outokumpu e poi di nuovo alla Tk che annuncia (siamo nel 2014) che il sito siderurgico ternano sarà ceduto, seppur con calma perché non si svende, anzi si vuole che le acciaierie di Terni restino competitive, un “boccone” appetibile, così come furono, ad esempio, nel 1994 quando sull’onda del dilagare delle privatizzazioni in tutto il mondo, passarono dall’Iri ai tedeschi. Fino ad arrivare al 2020 con l’annuncio, stavolta maggiormente determinato, da parte di ThyssenKrupp la quale appende il cartello “Vendesi” alla portineria di viale Brin.
In ogni occasione il nome Marcegaglia è stato, ed è, presente.
Nel 1994 Steno Marcegaglia, il padre di Antonio ed Emma che ora guidano l’azienda e che ai tempi – comunque – lo affiancavano, ci provò. E con una certa determinazione. Il sito siderurgico di Terni era appetibile: per la lunga tradizione di produttore di acciaio; perché dotato di impianti rinnovati nella seconda metà degli anni Ottanta, perché produttore di acciai speciali, dall’inossidabile, al magnetico, dal carbonio, al titanio. Un affare da leccarsi i baffi. Anche per la valutazione ed il costo: 1.100 miliardi di lire un po’ più di 600 milioni di euro. Senza contare che proprio mentre la cessione arrivava alla stretta conclusiva, i prezzi degli acciai speciali presero a salire e i conti dell’Ast a migliorare. In uno studio tecnico di Banca Imi si ipotizzava che il 1994 si sarebbe chiuso per le acciaierie di Terni con un livello vendite pari a 1.540 miliardi, un margine operativo lordo di 155 miliardi, un risultato netto di 191 miliardi.
Poteva mancare l’interesse di Steno Marcegaglia? Un industriale dell’acciaio che s’era fatto da solo, cominciando negli anni Cinquanta come sindacalista dei braccianti, successivamente divenuto imprenditore dotato com’era di un vero e proprio bernoccolo degli affari. Chiamato “il re del tubo”, Marcegaglia era uno dei clienti d’eccellenza delle acciaierie di Terni.
Nel bailamme di quell’operazione di privatizzazione che fu contraddistinta da entrate ed uscite di società interessate, dal nascere , trasformarsi o morire di alleanza, contro alleanze e cordate, Marcegaglia all’inizio aveva azzeccato l’alleanza buona: con la Krupp, che non era ancora un tutt’uno con Thyssen. Ma ben presto questa cordata “filotedesca” cambiò profondamente, con l’arrivo del trio Falk, Agarini, Riva, che avevano all’uopo costituito la società Far. Marcegaglia si alleò con Lucchini e la Ugine e poi con Ucinor Sacilor, in una cordata italo-francese, opposta alla italo-tedesca, con la Ucinor-Sacilor che sembrava però maggiormente interessata allo stabilimento di Taranto e quindi all’altra metà dell’acciaio italiano. L’Ilva, infatti, era stata spacchettata in due tronconi: gli acciai speciali Ast, e la Ilp (laminati piani) con Taranto capofila. Operazione che non trovò opposizione nel governo: il ministro dell’industria del tempo, Paolo Savona – lo stesso che ora presiede la Consob – ad un certo punto consigliò di spacchettare tutti gli stabilimenti dell’Ilva in entità autonome da cedere anche gratuitamente.
Marcegaglia, giocò quindi anche sul tavolo dell’acquisizione della divisione laminati piani. Il risultato fu, come noto, che furono le cordate concorrenti a vincere.
Pazienza. Marcegaglia seguitò per la sua strada e circa dieci anni dopo (nel 2003), il gruppo mantovano arrivò a sfiorare i duemila miliardi di euro di fatturato producendo 5.500 chilometri di tubi al giorno, con fabbriche controllate in Brasile e negli Stati Uniti: “Oculato, attento agli investimenti, appassionato di finanza, Marcegaglia ha colto al volo le opportunità schiuse da un mercato molto frizzante”, commentavano gli esperti di economia e finanza.
L’Ast rimase, senza patemi, uno dei suoi “pallini”. E rieccolo il gruppo Marceglia esplorare il campo nel momento in cui ci fu la cessione ad Inoxum e poi a Outokumpu; rieccolo informarsi e mostrare interesse nel momento della ristrutturazione operata dalla ThyssenKrupp per mano di Lucia Morselli, quando si ventilò la possibilità di un vicinissimo passaggio di mano.
Adesso ci riprovano i Marcegaglia: non siamo al momento del corteggiamento, ma alla fase successiva, quella in cui si va a parlare con i parenti per dimostrare ed affermare la serietà delle proprie intenzioni. Per certi versi è ciò che è accaduto venerdì con Emma e Antonio Marcegaglia che si sono presentati ai sindacati ed alle istituzioni umbre. Per il matrimonio ci manca, però. Ancora sono parecchi ed importanti coloro che debbono dirsi favorevoli. Chissà se questa, per Marcegaglia, sarà la volta buona?