Una indagine dell’Agenzia Umbria Ricerche rivela una certa dinamicità del mercato del lavoro in Umbria con molte nuove assunzioni, soprattutto nella fascia di età fino a 29 anni e rivela però anche una tendenza che si sta consolidando nelle fasce di età più giovani e cioè quella di abbandonare il posto di lavoro anche in presenza di un contratto a tempo indeterminato.
I dati diffusi dall’Inps relativi ai dipendenti delle imprese extra-agricole[i] ci dicono infatti che in Umbria le assunzioni attivate da gennaio a settembre 2022 in questa fascia di età (fino a 29 anni, ndr) sono state quasi 28 mila, con un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021 (19% in Italia). L’incremento, che ha investito tutte le tipologie contrattuali, è stato particolarmente evidente per i tempi indeterminati (48% a fronte del 30% italiano).
Il protagonismo della coorte più giovane che anima la rinnovata vivacità del mercato del lavoro è un fenomeno che si propone anche a livello nazionale e, se può considerarsi in parte fisiologico, si ritiene possa essere stato anche l’esito dei bonus e degli incentivi previsti da qualche anno per agevolare l’assunzione della fasce d’età più basse: dagli sgravi contributivi per i datori di lavoro che assumono persone con non più di 35 anni alle agevolazioni per quelli che decidono di assumere ragazzi e ragazze fino ai 29 anni iscritti al programma Garanzia giovani.
Tuttavia si osserva il perdurare di un altro fenomeno, la crescita delle dimissioni (nei primi nove mesi del 2022 in Umbria se ne sono contate, tra i giovani con meno di 30 anni, oltre 6 mila), seguendo la scia dell’ampliamento dei flussi in uscita. In realtà, il tasso di dimissioni, dopo il balzo del 2021, quando tra i giovani raggiungeva complessivamente il 29%, torna a declinare.
La propensione all’abbandono volontario dal lavoro continua ad essere un fenomeno particolarmente rilevante tra i tempi indeterminati e soprattutto fra i più giovani: nei primi nove mesi del 2021 aveva raggiunto l’84% (a fronte del corrispondente 79% nazionale). L’anno successivo, i due valori si eguagliano, per la diminuzione del tasso di abbandono registrato nella regione. Ampliando il periodo di riferimento e osservando i valori cumulati annui, si evince come la curva della propensione all’abbandono volontario dal lavoro a tempo indeterminato tra gli under 30 in Umbria mostri un’impennata ininterrotta da settembre 2020 a ottobre dell’anno successivo (in Italia si interrompe alcuni mesi prima). Poi torna a calare, per un avvicinamento tra le due aree, che viaggiavano su valori analoghi nella seconda metà del 2020. Pur in questo rallentamento del fenomeno, è comunque innegabile lo stazionamento su valori molto alti: per ogni 10 cessazioni di impieghi a tempo indeterminato, oltre 7 derivano da abbandoni volontari.
Naturalmente il fenomeno delle dimissioni interessa anche le altre tipologie contrattuali, ma in misura molto più contenuta. In questo caso, il tasso di abbandono volontario complessivo è strutturalmente più elevato tra le persone che hanno più di 29 anni, in Umbria così come in Italia.
In definitiva: il ritorno a una nuova normalità, segnato da una maggiore vivacità del mercato, si può leggere anche attraverso una generalizzata flessione della propensione alle dimissioni ma, per i più giovani soprattutto, l’abbandono volontario di un lavoro stabile sembra sia diventata una peculiarità di questi nuovi tempi.
Come si può leggere questo fenomeno?
Non vi è dubbio che la ripresa del mercato – esplicitata dall’aumento delle assunzioni, delle cessazioni, delle trasformazioni contrattuali – sottenda una inevitabile crescita delle transizioni, da un settore a un altro o anche da un lavoro a un altro. E, di fatto, le dimissioni stanno aumentando come flusso ma diminuiscono come quota sulle cessazioni complessive.
Tuttavia in questa lettura non va trascurata l’onda lunga dell’esperienza pandemica e l’impatto psicologico su molte persone che a lungo hanno riflettuto, quando non rivisto, le proprie priorità e dunque i criteri di scelta in ambito lavorativo che, più di prima, hanno a che fare con la gestione dei propri tempi di vita, con gli aspetti retributivi, con la soddisfazione per quello che si fa.
Una recente ricerca AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale) ha rivelato che i lavoratori maggiormente sensibili ai cambiamenti culturali (circa il 70%) sono i giovani con età compresa tra i 26 e i 35 anni, e questo non dovrebbe sorprenderci: i giovani sono maggiormente sensibili ai cambiamenti culturali anche perché ne sono essi stessi gli artefici. I dati dell’Osservatorio INPS sul precariato ci dicono inoltre che i lavoratori italiani che hanno rassegnato le proprie dimissioni hanno lamentato: nel 45% dei casi una retribuzione inadeguata, nel 35% un’assenza di prospettive di carriera nel luogo di lavoro, nel 24% una insoddisfacente qualità di vita con un adeguato bilanciamento tra lavoro e vita privata, nel 18% una scarsa flessibilità sul lavoro e un altro 18% dei casi ha abbandonato volontariamente il lavoro perché “si vive una volta sola”.
Se questa classifica molto esplicativa viene traslata alla realtà regionale, non è difficile rintracciare la ragione della più alta propensione alle dimissioni, soprattutto dei più giovani, in Umbria: se è vero che il rapporto costi-benefici derivanti dallo svolgimento di un lavoro è diventato un riferimento tra i più importanti nell’indirizzare le proprie scelte lavorative, da questo punto di vista il territorio umbro non offre, nella generalità dei casi, condizioni particolarmente allettanti, visto che le retribuzioni continuano a stazionare su livelli medi di circa dieci punti inferiori a quelli nazionali e il tasso di dipendenti sovra istruiti continua a essere il più alto di tutte le regioni italiane. In questo quadro le ragazze e i ragazzi che lavorano in Umbria risultano doppiamente penalizzati: per redditi fisiologicamente più bassi in quanto all’inizio della carriera lavorativa e perché scontano un gap retributivo rispetto ai coetanei nazionali impiegati nel settore privato che sale da 6 a 14 punti percentuali se il confronto si sposta dall’Italia al Centro-Nord.
Alla luce di queste considerazioni, non dovrebbe sorprendere questa maggiore mobilità lavorativa: i giovani che lavorano in Umbria manifestano una più alta propensione a dimettersi da un lavoro a tempo indeterminato rispetto ai coetanei italiani (anche) perché avrebbero un motivo più stringente che li spinge a ricercare un’occupazione più appagante.