E’ morto serenamente a 90 anni così come era sempre vissuto: Mario Magaldi si è spento a Roma, dove era andato ad abitare dopo la sua giovinezza narnese, amico di tutti e da tutti voluto bene. Aveva una dote istintiva: sapeva giocare al calcio. Ed in un paesotto come Narni è rimasto l’unico ad essere arrivato vicino, vicinissimo, a diventare un vero campione. A dire la verità di dote ne aveva un’altra: era bellissimo, un attore. Andava qualche volta alla scuola elementare a trovare la sua mamma Aida, che faceva l’insegnante: la classe, femminile, si fermava. Ammutoliva. E’ rimasto per sempre nei ricordi dei narnesi per queste sue due doti ma anche per essere stato buon marito e padre.
All’inizio Mario Magaldi venne spinto dal padre di Danilo Pace, Renato, sostenitore della Lazio, ad un provino a Roma. L’allenatore dei giovani biancocelesti non se lo fece scappare. Il presidente della Lazio Remo Zenobi venne a Narni e firmò il contratto sul bancone della macelleria di Renato, mettendo sul piatto 150.000 lire e la promessa di una partita a Narni della Prima squadra. Ancora gli anziani narnesi si domandano perché non abbia sfondato, lui, Mario, che aveva visione di gioco, rapidità, nonostante il suo metro e ottanta, capacità di attrarre su di sé il gioco. E la risposta sta negli equilibri societari: veniva sempre dietro a due giovanotti nordici che la Lazio aveva strapagato e trovavano sempre posto in squadra: per la cronaca erano due brocchi. Però aveva partecipato da protagonista al Torneo di Viareggio ed aveva svolto la preparazione con la prima squadra. Una prospettiva l’aveva avuta: Magaldi era il titolare della squadra riserve, che allora andava di moda, al punto che tutte le società di serie A ne avevano una. Quella biancoceleste, capitanata da Magaldi, appunto, vinse addirittura il suo campionato primeggiando in tutt’Italia: era il 1952.
Poi un incidente al ginocchio nel mentre la società decideva cosa fare di lui, troncò la carriera. In mezzo un periodo esaltante per Mario, che si destreggiava bene dentro la Dolce Vita di quegli anni, fatta da attrici e presunte tali. Beh, non gli fu d’aiuto nella sua carriera. Poi però conobbe Emilia, quella che divenne la moglie, si trovò un bell’impiego ed iniziò una vita più regolare, fatta delle gioie della famiglia. E lì venne fuori l’altra sua grande dote: era un uomo per bene. Lui non aveva dimenticato mai Narni e ci veniva costantemente e guardava sempre con un sorriso le tante scolarette della madre che erano diventate grandi e continuavano a guardarlo con aria sognante. Ci rideva su. Di lui, oltre all’affetto della figlia, rimangono le foto in bianco e nero, che sono la incredibile testimonianza di un giovane che aveva attraversato la vita, tra gioie e dolori ma sempre con grande dignità. Ed ora lo piangono tutti, quelli che l’hanno conosciuto insieme agli altri, che ne hanno sentito solo parlare. Ciao Mario.