Nicola Molè (scomparso il 17 gennaio) lascia un messaggio prezioso fondamentale su cui tanti, ma tanti, a Terni e non solo, dovrebbero soffermarsi: la politica non è un qualcosa da scansare, da rifiutare, da ritenere dannosa. Ma va anzi affrontata, partecipata. Vissuta. Come “impegno” non come “carriera”. Il suo fine è “il servizio al bene comune e non il soddisfacimento di un’ambizione personale da raggiungere ad ogni costo”, senza mettersi al servizio di alcun “potente” di turno, cioè, senza cercare alleanze proprie o improprie, senza promettere alcunché ad alcuno.
Sono parole sue, di Nicola Molè, che nella sua vita ha dimostrato con l’esempio che si può fare.
Molè ha ricoperto incarichi prestigiosi prima nelle organizzazioni religiose (dai giovani dell’Azione cattolica, all’Azione Cattolica dei “grandi”, componente attivo, costantemente presente e propositivo per la crescita e l’evoluzione della Chiesa e del pensiero cattolico al punto di essere nominato da Giovanni Paolo II Commendatore dell’ordine di San Gregorio Magno, una delle più alte onorificenze pontificie tra quelle conferite ai laici). E successivamente in politica nel decennio 1960-70 quando fu consigliere comunale a Terni della Democrazia Cristiana, con successivo ritorno ad occuparsi delle questioni legate alla Chiesa per riaffacciarsi alla politica sul finire degli anni Ottanta.
Parole che si sono trasformate in atti, decisioni, scelte. In buona politica, onesta, pulita, direbbe qualcuno. La politica ed il mondo religioso cattolico. Sono state le sue vocazioni, le sue passioni. Il terreno su cui agire “da laici nella Chiesa e cattolici nel mondo”. Con uno zenit: la giustizia sociale, una politica di pace, rigorosa, coerente nei comportamenti personali e di gruppo.
Fu nella Dc, fin dagli anni giovanili, in un’età sufficiente per fare comizi ma non per votare (allora si diventava elettori a 21 anni). Riferendosi a Dossetti e La Pira e a Fanfani. Alla sinistra democristiana, nelle rappresentazioni via via fornite negli anni, con un occhio sempre attento al rinnovamento, al sostegno e alla crescita dei giovani e dei candidati “nuovi”, per un partito più “aperto”, più “ democratico” ,”vera fucina di cittadinanza attiva – affermava Nicola Molè più di mezzo secolo fa – e di una classe dirigente preparata e all’altezza dei compiti che derivano dai risultati elettorali”. Un partito “più attento alle problematiche del mondo giovanile e più sensibile alle istanze sociali”.
Avvenne nel corso del 1987 il ritorno alla politica, dopo aver dedicato per 17 anni tutte le proprie energie alle questioni inerenti il mondo cattolico, attraverso gli studi del pensiero di Jacques Maritain, le frequentazioni e le conversazioni con Vittorio Bachelet, l’organizzazione di occasioni di crescita e di studio negli organismi cattolici. E’ quasi contemporanea al rinnovato interesse politico la proposta – all’epoca quasi “rivoluzionaria” – di un’alleanza Dc-Pc per le elezioni comunali ternane del 1990. Un’idea che non trovò spazio. Poi, negli anni seguenti, la proposta non accettata di candidatura a sindaco di Terni nel 1993 quando vinse a sorpresa Gian Franco Ciaurro di cui Molè preconizzò la svolta a destra, aderendo allo schieramento che sosteneva il candidato del centro-sinistra Franco Giustinelli. L’esperienza dei circoli Cristiano-sociali, la condivisione dell’idea dell’Ulivo e il passaggio – a quel punto – quasi naturale al Partito Democratico, di cui fu presidente, dopo aver svolto i compiti propri di un’altra presidenza: quella della Provincia di Terni.