Una lettera aperta scritta da Gianluca Marini ed indirizzata ai suoi figli, a seguito dei fatti definiti ‘incresciosi’ di lunedì sera, 7 settembre, quando lui ed i suoi figli sono stati costretti ad interrompere l’esibizione della band in Largo Don Minzoni a seguito dell’intervento della Polizia Municipale che riportava lamentele telefoniche di cittadini per il volume troppo alto, alle ore 21.20. Una lettera che sarà inviata anche a tutte le autorità cittadine “non tanto con finalità di rivalsa, scrive Marini, quanto, almeno spero, come ulteriore testimonianza di quanto endemica e terminale sia la crisi culturale di questa città”.
“Figli miei, sapete che vi amo più della mia vita.
Sono un papà, e anche discretamente bravo a farlo, ed il mio compito primario è quindi quello di insegnarvi a vivere: indirizzarvi, consigliarvi, principalmente prendendo spunto dagli accadimenti della nostra vita quotidiana. Ma sono anche uno scrittore, un artista, un musicista, e tradurre in parole i miei sentimenti è una cosa che mi viene piuttosto naturale.
Ieri sera avrebbe dovuto essere, ed in parte lo è stata, la vostra Woodstock: la prima vera serata su un palco, a 14 e 16 anni, più Matteo che di anni ne ha quasi 20. Da brividi…
Le prove, per giorni e giorni: lo studio, la scelta dei brani, la rinuncia ad uscire con gli amici, con le ragazze, ad allenarvi. Un sacrifico enorme, durato fino a ieri sera.
Per tutto il giorno siete stati tesi, pensierosi, concentrati. E ci credo!
A 14 e 16 anni, suonare davanti a tutte quelle persone, ai compagni di scuola, ai vostri maestri, alle fidanzate: la maggior parte dei vostri coetanei sarebbe svenuta già prima di prendere in mano gli strumenti.
Voi invece no: vi ho cresciuti uomini, e lo avete dimostrato ancora una volta.
È bastato un secondo: infilare i jack nel mixer, uno sguardo veloce verso la gente che era lì solo per voi, il primo applauso e siamo partiti. Con Highway to Hell, come non poteva essere altrimenti.
In un attimo tutto era perfetto, tutto era fantastico: applausi, qualche risata per le cazzate che sparavo io, richieste; la gente che passava, ascoltava e si fermava.
Tutti al loro posto, tutti con la mascherina e/o a distanza giusta.
Eppure, per questa città non è bastato neanche questo. Non è bastato che all’inizio del concerto io dal palco abbia invitato tutti al rispetto delle regole anti-Covi19; un cantante rock che invita al rispetto delle regole: non si è mai visto, ma per voi ho fatto anche quello. E con successo, cazzo, perché la gente le regole le rispetta se il messaggio arriva dalla persona giusta…
Highway to Hell, Californication, Rock’n’Roll all nite, Fortunate Son, Wonderwall, Tush, Paranoid. Fine!
Ore 21.10, circa, arriva la municipale. Sulle moto, anche se sono moto molto poco Rock, a dirla tutta.
Si fermano, guardano bene tutto. Purtroppo, tutti rispettano le regole; già detto.
Allora è una telefonata, o forse più -o forse nessuna, vedremo quando andrò a chiedere in Procura- che si lamenta del volume.
“Papà, come fanno a lamentarsi del volume che neanche gli ampli usiamo. Entriamo tutti diretti sul mixer e suoniamo con due sole casse, pure senza spie!”
“Lo so figlio mio, ma il ternano medio(cre) si lamenta sempre!”. Anche alle 21.00 di un lunedì di fine estate, in pieno centro. Alle 21.00, quando ancora le TV non hanno neanche iniziato a trasmettere il film in prima serata.
“Abbassate il volume, altrimenti se ci chiamano di nuovo…”; certo, se mi spiega lei come posso abbassare il volume di una batteria acustica….
Tutti incazzati, tutti nervosi.
Cambiamo scaletta al volo, scegliamo solo i pezzi più soft, se così si può dire visto che suoniamo Rock, e non Trap. Stringiamo i denti, come tutti i musicisti veri (voi) sanno fare, e chiudiamo alle 22.00. Senza Fade to black, senza Sweet child of mine, senza Crazy train. Senza tutto.
E allora, qual è la lezione? Presto detto: drogatevi, figli miei!
Perché, Alessandro, studiare ore ed ore, terminare il liceo Donatelli per due anni consecutivi con la media superiore al 9, fino ad arrivare lo scorso anno a rappresentare questa città ai Giochi internazionali matematici alla Bocconi di Milano?
Perché Leo, entrare su un tatami a cinque anni e continuare ad allenarti da sempre quattro giorni a settimana per poter magari arrivare a gareggiare per la Nazionale, da ternano?
Perché studiare musica, fare tanti sacrifici, impegnarsi, per finire schifato prima di chiunque altro proprio dalla tua città?
Se foste stati dei drogati ad esempio, ve ne sareste fottuti delle regole, ed avreste continuato a suonare, invece di pensare che ci avrebbe rimesso solo il locale che così gentilmente ci stava dando l’occasione di suonare per la prima volta in pubblico, pagando pure la Siae per la serata.
O magari, se foste stati dei drogati, quando ieri sera sono arrivati i paladini dell’ordine costituito li avreste insultati, o gli avreste tirato una chitarra, od un rullante, e nessuno vi avrebbe detto nulla perché siete tossici, ed andate compresi e capiti.
Da drogati, appena finita la serata, avreste iniziato a molestare tutti gli abitanti dei palazzi lì intorno, e nessuno vi avrebbe detto nulla; perché si sa, i tossici mettono paura, e non hanno niente da perdere. Noi si, invece.
Da drogati oggi, il giorno dopo, non vi sareste posti domande quali “ma i residenti del centro che si lamentano sempre che è tutto sporco, che gli pisciano sui muri, che gli sfondano i portoni, possibile non capiscano che se non si può organizzare nulla poi il centro muore, si svuota, non circola nessuno, e quindi gli sbandati sono liberi di fare ciò che vogliono?”
Accettare l’inevitabile, questo vogliono.
Viviamo, figli miei, in una città che non più di due mesi fa si è stracciata le vesti per la morte di due povere anime cadute vittima della droga dando le colpe a tutti, tranne che a sé stessa.
Una città sempre pronta a piangere acredine, invidia, odio, verso chi gli sta vicino -Narni, Todi, Perugia- senza mai riconoscere i meriti degli altri e la propria, terribile miseria.
In due mesi, da quella immane tragedia, cosa è cambiato?
Terni è ormai una città dove non c’è cultura, non c’è un teatro, dove non si sfruttano Villalago, Piediluco, Carsulae, giusto un pochino la Cascata delle Marmore.
Una città in cui in centro non si riesce ad organizzare nulla, i negozi chiudono a decine ogni giorno, e poi ci si lamenta che il centro muore.
Una città in cui i pochi locali rimasti aperti hanno subito perdite incalcolabili per colpa del Covid, lo Stato gli garantisce il suolo pubblico gratis, ed i cittadini si lamentano per qualsiasi cosa venga organizzata.
Una città in cui, nonostante tutto, ieri sera tanti ragazzi si erano fermati ad ascoltarci, musicisti e non. Incuriositi, prima; colpiti, poi, nell’osservare dei loro coetanei esibirsi davanti a tutti senza paura, e con una tale maestria.
Mi brillavano gli occhi nel vedere quanti giovani c’erano, dai 14 ai 30, che si muovevano al ritmo delle nostre canzoni, canticchiavano, applaudivano. Tutti con la mascherina. Tutti a distanza.
Fino alle 22.00, quando poi abbiamo smesso veramente, perché alla fine anche un’anima Rock si stanca…
Così quei ragazzi si sono alzati, ed hanno iniziato a vagare per una città vuota: delusi, senza una meta, senza un interesse. E chissà cosa avranno fatto per passare il tempo, in quel deserto di uomini, di idee e di cultura. Perché sapete, figli miei, la verità è che un tossico non pensa, non vota, non elabora, non capisce. A lui basta sopravvivere, che è proprio quello che vogliono in tanti. Se devi preoccuparti di sopravvivere, non hai tempo di pensare ad altro…
Facciamo così, allora: per una volta, non datemi retta. Non drogatevi!
D’altronde, da sempre vostra madre ed io vi abbiamo insegnato come vivere appieno la vostra vita, non limitandovi di certo a sopravvivere.
E per la musica, state tranquilli: vedrete che quando i locali di altre città leggeranno questa lettera, qualcuno ci chiamerà.
Nemo propheta in patria, per vostra fortuna…”