“Il recente suicidio avvenuto nel carcere di Terni non è solo una tragedia personale, ma il sintomo doloroso di una crisi più ampia, che interroga tutto il sistema di cura e di assistenza. Non si tratta soltanto della condizione di chi è ristretto in un istituto penitenziario: la doppia diagnosi, ovvero la compresenza di disturbi psichiatrici e dipendenze da sostanze, è una realtà che si estende ben oltre le mura del carcere e che tocca sempre più giovani e adulti, spesso nel silenzio, spesso senza possibilità di ricevere un supporto adeguato”.
Lo scrivono in una nota i consiglieri regionali Maria Grazia Proietti (Pd) e Luca Simonetti (5 Stelle), in risposta anche all’intervento del sindaco di Terni Bandecchi, di ieri.
“Una doppia diagnosi non è una somma di problemi, ma una condizione che richiede un intervento integrato, continuativo, umano. Quando poi si finisce in carcere, la situazione si aggrava facilmente: le dipendenze attive toccano quasi un detenuto su tre, e le doppie diagnosi sono tra le situazioni più difficili da trattare, anche per la carenza cronica di strutture intermedie e alternative alla detenzione.
Proprio per questo – aggiungono Proietti e Simonetti – l’impegno quotidiano di chi è accanto ai detenuti , operatori penitenziari, agenti, educatori, il personale sanitario che ogni giorno si trova a gestire situazioni cariche di dolore, tensione, solitudine , merita non solo attenzione ma tutela, supporto e formazione, perché è parte essenziale della rete di cura. È inaccettabile che la politica si ricordi di loro solo quando c’è da individuare un colpevole dopo una tragedia. Chi strumentalizza questi eventi per fini politici non fa onore né alle istituzioni, né a chi lotta ogni giorno in prima linea (è evidente il riferimento a Bandecchi, anche se non nominato, ndr)
La politica deve fare la sua parte e non giocare irresponsabilmente a uno scaricabarile di misera propaganda quotidiana.
Non possiamo più permettere che siano le falle normative o la mancanza di soluzioni abitative protette a ostacolare percorsi di cura e di reinserimento. Ribadiamo la necessità di doverose modifiche alla legge regionale 23/2003 sull’Edilizia Residenziale Sociale. È tempo che anche la legge riconosca che, in alcuni casi, il diritto a una casa dignitosa non è un premio, ma una condizione essenziale per la salute e per il ritorno a una vita autonoma.
Vogliamo restituire centralità alla salute mentale, clamorosamente dimenticata nell’ultimo progetto di Piano Sanitario Regionale, integrando i servizi e rafforzando il welfare territoriale. È solo così che potremo evitare nuove tragedie. È solo così che potremo restituire senso alle parole cura, prossimità e responsabilità”.