La trasfusione di sangue come presidio terapeutico in chirurgia quale argomento dibattuto e di grande attualità. Di questo si parlerà nel corso del congresso “Cardiochirurgia e fede religiosa, le ragioni dei Testimoni di Geova”, in programma sabato 16 marzo (dalle ore 9) nella sala Maurizio Santoloci dell’Arpa di Terni.
“Lo scopo del convegno è sia quello di chiarire gli aspetti medico-legali e di sedare conflitti etici interdisciplinari connessi al rifiuto delle trasfusioni di sangue – spiega il responsabile scientifico Valentino Borghetti direttore della struttura complessa di cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera Santa Maria Terni – ma anche quello di un confronto tra le diverse esperienze italiane per ottimizzare la gestione delle procedure di cardiochirurgia e di ridurre al minimo la necessità di emoderivati”.
Le complicanze relative alle trasfusioni di sangue in cardiochirurgia sono state sottolineate dalla comunità scientifica internazionale. Per questo motivo, negli ultimi anni, si è assistito ad un progressivo miglioramento tecnologico orientato alla riduzione delle perdite ematiche durante le procedure chirurgiche e all’impiego di tecniche alternative che limitino l’impiego di emoderivati.
Questo atteggiamento consente di estendere le indicazioni all’intervento di cardiochirurgia anche a chi, per questioni di fede religiosa, come il Testimone di Geova, non accetta l’emotrasfusione.
Peraltro, l’impossibilità di utilizzare in alcun modo sangue eterologo, come presidio terapeutico salvavita, pone chirurghi, anestesisti, personale tecnico ed infermieristico di fronte a questioni etiche di difficile soluzione. Viceversa, l’esclusione dei Testimoni di Geova dall’indicazione ad un intervento di cardiochirurgia potenzialmente risolutivo, basato sugli stessi principi morali, ha dei risvolti di carattere medico-legale per iniquità di trattamento terapeutico, aspetto inaccettabile in termini di tutela al diritto alla salute come principio universale.
Il convegno ha quindi lo scopo di chiarire i dubbi derivanti da posizioni contraddittorie, nel rapporto medico-paziente, per identificare un percorso equo, eticamente condiviso e privo di conseguenze personali o collettive quando le necessità biologiche si interfacciano con esigenze umanistiche.