“Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del maestro, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l’oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l’uno e l’altra”.
Questo il poeta inteso da Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna 1855 – Bologna 1912) figura emblematica della letteratura italiana, accademico e critico letterario, innovatore del linguaggio e della struttura della poesia. A questo grande artista, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia che si celebra il 21 marzo, l’Associazione Culturale Gutenberg di Terni ha dedicato un interessante incontro tenuto dalla professoressa Maria Teresa Tini presso il Clt di via Muratori.
“Voglio parlare in semplicità di questo poeta, ha esordito la professoressa, che ho imparato ad amare mentre insegnavo. Giovanni Pascoli è un poeta che rappresenta la poesia e l’ha immaginata nel fanciullino. Il fanciullino rappresenta la poesia intesa come conoscenza aurorale di un mondo infantile, forse, ma forse visto in gli occhi innocenti di chi nella realtà vede quello che l’adulto non vede più perché ottenebrato da tanti pensieri, da tante altre situazioni. È questo il significato del fanciullino. Io, però, aggiungo innovatore perché l’immagine del fanciullino sembrerebbe sminuire un poeta bambino, fanciullo, invece Pascoli ha rinnovato la poesia di fine Ottocento inizio Novecento ed ha aperto le prospettive del Novecento sia dal punto di vista del simbolismo che della nuova tecnica poetica. In questo senso, ha aggiunto, è un profondo innovatore e tutta la poesia successiva ha risentito di questa sua strada aperta nell’ambito del linguaggio, perché è lui che introduce il fonosimbolismo, un linguaggio pregrammaticale che sarebbe la voce degli uccelli, il famoso chiu chiu e postgrammaticale quando usa termini dotti o linguaggi diversi. Altra cosa importante del Pascoli, ha detto ancora la professoressa Tini, è la sua capacità di usare il latino, lui lo parlava perfettamente, poi ai poemi latini ha aggiunto i poemata christiana. Negli ultimi anni Pascoli ha anche assunto le vesti del Vate della Patria. I nostri emigravano in cerca di fortuna e lui sognava un allargamento dell’Italia verso l’Africa perché gli italiani non fossero costretti ad allontanarsi dalla loro Patria. La Patria per lui era un po’ come l’immagine del nido, uno dei simboli di Pascoli che rappresenta la casa, gli affetti, la protezione. Si parla di un Pascoli funereo, in effetti ha sempre parlato di morti, non ha potuto mai superare il trauma della morte del padre perché poi gli è morta la mamma, una sorella, un fratello. Quindi, ha concluso, non meraviglia che lui abbia questo culto dei morti e che li ricordi proprio come una realtà presente, il ricordo che non finisce, ma continua a sopravvivere nella mente”.