Si è conclusa in questi giorni la vicenda giudiziaria che ha visto interessata una nota azienda ternana operante nel settore della fornitura di servizi in materia ambientale.
Le attività d’indagine, scaturite da un’iniziale accertamento dell’Agenzia delle Entrate, sono state delegate ai militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Terni che, sotto la direzione della Procura della Repubblica, hanno “passato al setaccio” la posizione contabile dell’azienda evidenziando, tra l’altro, un debito nei confronti dell’Erario per oltre venti milioni di euro.
L’esito, favorevole all’ufficio requirente, riveste notevole importanza alla luce del successo, una volta tanto, per la parte offesa che finalmente è lo Stato, si legge in una nota, inteso quale garante della legalità fiscale che impone a tutti i cittadini di contribuire alla spese per i servizi pubblici appunto pagando tasse e imposte. In un periodo di drammatica sofferenza per tutte le categorie sociali alle prese con la pandemia, constatare che lo Stato c’è rappresenta una iniezione di fiducia per la stragrande maggioranza dei cittadini umbri che pagano le tasse, senza dimenticare la confisca di quasi 3 milioni di euro che ritorneranno nelle case dello Stato. Si aggiunga che l’intervento della Procura di Terni, nel corso del 2017 con il sequestro dell’azienda e dei conti correnti bancari, ha comunque garantito la continuità aziendale senza licenziamenti, anzi, nuove assunzioni si sono avute e grazie anche all’operato della curatela fallimentare, l’azienda ha registrato utili pagando, questa volta, regolarmente le tasse: business, legalità fiscale, occupazione. Insomma, nel fare impresa il primo creditore da soddisfare è lo Stato e i lavoratori, seguono banche e creditori privati.
L’azione penale – promossa in prima persona dal Procuratore della Repubblica di Terni Alberto Liguori che ne ha curato l’accusa nelle varie fasi processuali, coadiuvato anche dalla locale sezione di polizia giudiziaria nella persona del Maresciallo Capo Gianluigi Nocereto – ha visto la condanna dell’imputato ad un anno e quattro mesi di reclusione, pena sospesa, per l’omesso versamento di ritenute d’acconto operate sui dipendenti e l’omesso versamento dell’IVA dovuta all’Erario con la trasformazione del sequestro preventivo, già operato sui beni dell’azienda, in confisca definitiva per circa 3 milioni di euro, importo ridotto a seguito del decesso dell’altro imputato.