Aveva appena 23 anni Roberto Antiochia quando fu trucidato in un agguato di mafia insieme al Vice Dirigente della Squadra Mobile di Palermo Ninni Cassarà. Era il 6 agosto 1985. Ora a questo poliziotto ternano, che ha sacrificato la propria vita in nome della legalità, è stato dedicato un docu-film dal titolo “Roberto Antiochia la vita di un giovane ternano per la legalità”, realizzato dalla Questura di Terni di concerto con il Ministero dell’Interno e l’Associazione Libera. La visione dell’anteprima dell’opera questa mattina in Questura, nel giorno del compleanno di Roberto, alla presenza del Prefetto Emilio Dario Sensi, del Sindaco Leonardo Latini, del fratello del poliziotto ucciso Alessandro Antiochia, dei rappresentanti delle istituzioni cittadine.
“Roberto Antiochia è un giovane che ha scelto la via della legalità, ha commentato il Questore Roberto Massucci – è nostra responsabilità far conoscere la storia di Roberto Antiochia ai ragazzi, sta a noi divulgare il più possibile questo video, soprattutto nelle scuole”.
Il Sindaco Latini ha ricordato “come Antiochia è stato ucciso da 108 colpi, così la città di Terni ha subito 108 bombardamenti e se c’è chi ha dato la vita, chi ha dato tutto, così noi tutti possiamo dare di più, prendendo queste persone come esempio, persone che, il più delle volte, sono in mezzo a noi”.
Ad interpretare l’eroe ternano è un altro poliziotto con la passione della recitazione, Stefano de Majo, che così racconta.
“Esecutori materiali dell’agguato ad Antiochia e Cassarà furono 9 uomini impegnati in un’autentica azione militare, ma ben 88 furono i fiancheggiatori, corrotti e collusi che si adoperarono anche dentro lo Stato, per volontà di Riina, Provenzano, Brusca e Greco, tutti allarmati dalla sequenza inarrestabile di successi nelle indagini che la Squadra Mobile di Palermo diretta da Cassarà e Beppe Montana stava inanellando da quasi 2 anni avendo già in precedenza compiuto la famosa operazione “Pizza Connection” insieme all’Fbi con numerosi arresti tra Usa e Italia.
Roberto Antiochia era stato nel frattempo trasferito a Roma e per giunta era in ferie ad Ostia con la sua fidanzata, con la quale si sarebbe presto sposato, ma senza esitare un istante alla morte di Montana volò a Palermo per ricostituire la squadra affianco a Ninni Cassarà, del quale disse “Darei la vita per Ninni”.
La serie di assassini perpetrati dalla mafia non impedì comunque, pochi mesi dopo la morte di Antiochia e Cassarà, che avesse regolarmente inizio il Maxi Processo su cosa nostra ad opera di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Iniziò così la stagione del risveglio della coscienza civile a Palermo e in tutta Italia.
A distanza di anni a Roma, Palermo, Pescara, Recanati, Orvieto e nella sua Terni vi sono strade e luoghi intitolati a Roberto Antiochia, ma pochi conoscono davvero la sua storia. Occorre tener viva la memoria di quel nome e delle scelte coraggiose che lo posero di fronte all’estremo sacrificio.
Roberto aveva solo 23 anni quando morì, era un ragazzo che si era arruolato appena a 18 anni quando era ancora studente al Liceo Artistico perchè credeva fermamente nella giustizia e nella legalità.
Furono proprio due episodi vissuti da studente a determinare la sua scelta di entrare immediatamente in Polizia: la morte per overdose di una sua amica prima e la vista di un poliziotto a Roma, vittima delle brigate rosse, che lui non esitò a soccorrere in strada.
Un vero modello dunque che sopravvive al suo tempo, di cui ora più che mai sentiamo tutti il bisogno.
Roberto era intelligente e dissacrante, amante dell’arte, dei libri gialli e del canottaggio, un po’ guascone, a volte ribelle, ma pronto a donarsi agli altri affrontando la vita con un sorriso. Sorrideva sempre e scherzava su tutto anche sul colore rosso dei suoi capelli.
La sua forza diceva veniva proprio da quelli.
Rossi e ribelli, che sin da bambino gli avevano insegnato a non darsi mai per vinto quando a scuola lo prendevano in giro chiamandolo Roscio. Lui rispondeva sorridendo e andava avanti per la sua strada. Non si fermava, come adesso che lo trovate ogni giorno sulla sua strada, in via Roberto Antiochia, tra la Questura e la Scuola.
Non può esserci davvero un posto migliore per lui.
Se passerete di lì adesso che finalmente lo riconoscete, forse lo troverete appoggiato ad una moto sorridente coi suoi rossi capelli ribelli, di fronte al passaggio degli studenti e delle Volanti e se magari farete attenzione potreste anche riconoscere la sua voce che vi racconta:
“…era un caldo pomeriggio d’estate quel 6 di agosto, la nostra attenzione era alta da giorni, ma erano loro ad avere paura di noi. Feci cenno a Ninni che poteva uscire, come sempre lui mi sorrise. Poi esplose tutto. 108 colpi, 88 fiancheggiatori, 9 Kalashnikov, 9 esecutori, tutti nascosti nel buio da 2 ore, come topi che rifuggono la luce del sole, ammucchiati in 7 metri e 80 di terra. Se voi sapeste Palermo ad agosto sotto il sole quanto è bella.
Quel giorno lo scirocco inebriava l’aria di essenze speziate di mandorle e gelsi mischiati al profumo dei frangipani che risaliva dal lungomare. Ma loro certamente non li sentivano i profumi perchè avevano troppa paura. Dovevamo avergli fatto proprio paura, per arrivare a tanto, non c’era altra spiegazione per organizzare tutto questo, questa è la verità.
La verità è che lavoravamo da quasi 2 anni senza mezzi, senza auto adeguate, senza computer in ufficio, senza nessuna scorta.
La verità è che ci avevano lasciati soli da tempo, ma a noi la verità dava forza e coraggio. Ci sentivamo sempre più soli in quei giorni mentre passavamo lungo le strade deserte.
La gente a quel tempo aveva paura anche ad andare ai funerali dei poliziotti, ma noi sentivamo che per la prima volta anche i mafiosi ne avevano.
Quello che più li spaventava era che malgrado tutto noi non ci fermavamo. Non eravamo solo una squadra di poliziotti tra loro colleghi, eravamo veri amici, uniti e leali.
Ma se c’era una cosa che li faceva impazzire è che fino all’ultimo istante noi abbiamo sempre sorriso.
Ancora oggi sorrido, ancor più di prima, quando vedo le strade così piene di gente che grida i nostri nomi e cognomi, che sono diventati nomi di vie.
Alla fine abbiamo vinto noi, le persone ci hanno seguito lungo la strada. La nostra strada.
Ma il bello è che io, Ninnì Cassarà, Beppe Montana, Natale Mondo e tanti altri ancora non siamo diventati solo nomi di strade, noi le strade le abbiamo tracciate.
Che poi in fondo tutte le strade conducono a quella, una sola, la via della Legalità, che non ha scorciatoie né alternative.
Per me, in fondo, via Roberto Antiochia è solo una di tante strade diverse che portano a quella.
Via Antiochia adesso c’è in molti luoghi, come la mafia che non è solo a Palermo. Via Antiochia c’è anche a Roma, a Pescara, a Recanati, a Orvieto…e c’è anche a Terni.
A Terni la strada che porta il mio nome è una strada corta, come lo è stato il mio tempo, ma reca in sé un grande valore simbolico, perchè inizia con una Scuola e poi termina in fondo alla via con la Questura, la mia Polizia.
Il mio nome è Roberto e sono un poliziotto.
A Terni sono nato, ma a Palermo non sono morto.
Finché su quella strada passeranno Volanti e studenti io camminerò insieme a loro e resterò vivo perchè ne sono sempre più conscio, non le hanno ancora inventate le pallottole che fermano il Roscio”.
L’iniziativa di questa mattina si è conclusa con la messa a dimora di un cipresso accanto al monumento ai caduti della Polizia di Stato nella rotonda antistante la Questura.