Il dibattito sul restauro del Teatro Verdi di Terni si arricchisce di un altro contributo: quello del maestro Carlo Palleschi.
Palleschi è per un “teatro all’italiana”, rispettoso del progetto del Poletti.
L’INTERVENTO DEL MAESTRO CARLO PALLESCHI
Mi giunge in questi giorni la notizia di una gara d’appalto riguardante il rifacimento del Teatro Verdi di Terni in base ad un nuovo progetto. Essendo cittadino ternano, sento il dovere di condividere con i miei concittadini alcune riflessioni personali a tal riguardo maturate in base alla mia più che trentennale esperienza artistico-professionale svolta come direttore d’orchestra nei teatri di tre continenti. Innanzitutto ribadisco la mia opinione già espressa qualche anno fa circa l’opportunità di ricostruire il teatro secondo lo stile “all’italiana” e cioè rispettando il progetto originale del Poletti. Ciò comporterebbe un doppio vantaggio: da una parte consentirebbe il recupero di un’importante opera architettonica senza snaturarla e rispettandone le caratteristiche stilistiche secondo cui è stata concepita; dall’altra permetterebbe un utilizzo ottimale della struttura dal punto di vista artistico, considerando i particolari vantaggi acustici e visivi che è in grado di offrire il cosiddetto “teatro all’italiana” rispetto ai teatri più moderni. Una volta appurato che si possono risolvere i problemi posti dai vincoli dettati dalle normative vigenti, la città ha bisogno di riappropriarsi di un luogo di importante aggregazione sociale dove poter assistere a spettacoli dal vivo, ovvero manifestazioni artistiche dove spesso le voci e gli strumenti non sono amplificati e quindi la condizione più importante affinché il pubblico possa capire e godere dello spettacolo è il fatto di avere un’acustica che consenta la corretta propagazione e comprensione dei suoni generati sul palcoscenico. Ciò vale per le rappresentazioni di prosa, per le esecuzioni musicali da camera, liriche, sinfoniche, per il jazz, per i festival della canzone, per altri gruppi di vari generi musicali e per i concorsi di esecuzione musicale di qualsiasi tipo. Inoltre il “teatro all’italiana” non è, come si crede erroneamente, un teatro adatto solo per l’opera, ma è una straordinaria struttura capace di ospitare eventi della più diversa natura, dall’opera barocca al musical, dal quartetto d’archi al teatro d’avanguardia; vi si possono rappresentare spettacoli di danza, ma può essere utilizzato anche per convegni, proiezioni cinematografiche e multimediali, meeting e festivals di qualsiasi genere perché è frutto di un’evoluzione progettuale che parte dagli studi effettuati dagli architetti umanisti del XVI secolo, che si rifanno a loro volta alla concezione teatrale greco-latina, e prosegue ininterrottamente per cinque secoli. Per questo, lo dico per esperienza personale, non c’è assolutamente paragone fra la qualità dell’acustica di un teatro rivestito essenzialmente in legno e con una volumetria molto particolare determinata dalla forma della sala a “ferro di cavallo” e la classica struttura moderna dove la consueta articolazione in platea e galleria dimezza l’originale spazio di risonanza riducendone il volume del cinquanta per cento. Inoltre nel teatro all’italiana è diverso anche il rapporto che si può avere fra fruizione dello spettacolo e funzione socializzante: la particolare disposizione di palchi e platea, oltre ad essere la soluzione più razionale e funzionale per assistere alla rappresentazione, offre la possibilità di contatto visivo fra i vari spettatori, mentre nel teatro moderno si è tutti orientati nella direzione del palcoscenico con una notevole limitazione di interazione reciproca nel pubblico.
A Terni, nonostante durante la guerra il teatro non fosse stato distrutto ma solo gravemente danneggiato nella parte verso il palcoscenico, nel dopoguerra per motivi pratici, economici e di costume, dato che il cinema stava diventando la forma di spettacolo più largamente diffusa, si decise di realizzare una struttura adatta più per le proiezioni che per le rappresentazioni sceniche. Stessa sorte è toccata ai teatri Metastasio di Assisi, Carlo Felice di Genova, Vittorio Emanuele di Messina e Comunale di Torino (solo per citare alcuni luoghi dove ho avuto modo di lavorare e quindi di verificare personalmente) dove in tutti i casi si sono creati gravi problemi acustici e in modo particolare nel caso di Torino è stato necessario un secondo intervento di restauro proprio per correggere i difetti dell’acustica. In molti altri casi si è scelto di ricostruire i teatri secondo i progetti originali con risultati egregi come nei casi del Teatro alla Scala di Milano, della Fenice di Venezia, del Petruzzelli di Bari, del Liceu di Barcellona ma anche dei due teatri gemelli del nostro Verdi costruiti dal Poletti, ovvero il Galli di Rimini e il Teatro della Fortuna di Fano. Ora che da noi si è reso necessario un importante intervento di ricostruzione e restauro, considerando che ormai è irrimediabilmente tramontato il periodo d’oro del cinema come forma di spettacolo popolare, invece di “violentare” il teatro per la seconda volta, perché non seguire gli esempi sopra citati ed investire, a fronte di una differenza di budget che non arriva a superare il 20%, in una struttura che, se ben concepita e in seguito amministrata, potrebbe diventare la sede ideale di una compagnia teatrale stabile oltre che un luogo dove offrire un’opportunità lavorativa alle tante professionalità musicali,e non solo, prodotte dal Briccialdi e dalle scuole di formazione artistica e professionale presenti nel territorio.
E infine perché non considerare che un restauro ben fatto del bellissimo progetto del Poletti, a differenza di un’anonima e fredda struttura moderna, consentirebbe esteticamente al Teatro di diventare la cornice ideale dove registrare o da dove trasmettere sia eventi televisivi che spettacoli in streaming su varie piattaforme multimediali? Siamo ancora in tempo! E visto che si chiama Teatro Verdi, per concludere voglio citare la famosa frase del “Cigno di Busseto”: torniamo “all’antico” e sarà un progresso!