Ci sono parole nate migliaia di anni fa che sono sopravvissute fino ai giorni nostri. È il caso, soprattutto, dei nomi propri dei corsi d’acqua, toponimi di origine prelatina.
Un argomento di estremo interesse che, su iniziativa del Gruppo Archeologico DLF Terni per la prima conferenza della ventunesima stagione di attività, ha trattato il professor Augusto Ancillotti, per decenni professore di Glottologia all’Università degli Studi di Perugia, durante l’incontro dal titolo “Glottologia e preistoria: il sostrato linguistico paleoumbro”.
“La glottologia è la disciplina scientifica che studia la lingua, spiega il professor ncillotti, in questo caso la disciplina di natura storica che studia la formazione delle lingue. Le lingue sono riconoscibili per avere tutte una relazione l’una con l’altra, quanto meno le lingue di una stessa famiglia come sono quelle indoeuropee. Quella è l’unica strada per poter individuare una lingua. Una lingua non è una cosa che è documentata in un certo modo, che si parlava in un certo modo, ma è una lingua in quanto ha delle risposte stabili e sempre quelle rispetto al modello indoeuropeo che non è una lingua antica, ma è un modello scientifico. Detto questo dobbiamo utilizzare questo strumento per analizzare i toponimi più antichi, quelli che sono evidentemente non latini e non più recenti del latino, perché ci sono anche molti toponimi proprio italiani e studiare questi toponimi.”
Ed è il caso, soprattutto, dei nomi dei corsi d’acqua.
“Questi toponimi permettono di ascendere all’età del bronzo, prosegue il professore, perché sono tutti stabiliti molto tempo prima che ci fosse Roma e ci fosse il latino. Attraverso la glottologia riusciamo a individuare i nomi dei corsi d’acqua, ad analizzarli e ad attribuire il significato ad ogni corso d’acqua. Soprattutto mi preoccupa il metodo perché la gente va ad orecchio e questo vuol dire che è tornata al ‘600 o al ‘700, prima dell’epoca scientifica.”
Una corretta applicazione dei principi della glottologia, infatti, permette di penetrare nella natura dei toponimi, senza lasciarsi andare a fantasie. È quindi necessario un metodo di lavoro per evitare errori procedurali nei confronti di parole che non hanno una documentazione fatta di testi scritti. Ma qual è il metodo giusto?
“Il metodo, evidenzia il professor Augusto Ancillotti, parte dal principio fondamentale che si individua una lingua in quanto si riconoscono le sue relazioni fisse, stabili con il sistema indoeuropeo. Una volta che hai individuato questo hai già, diciamo, l’identità della lingua, chiamiamolo il DNA di quella lingua. Dopodiché bisogna riconoscere gli aspetti morfologici cioè come è formata la parola e capire da quello se è un aggettivo, se è un sostantivo, se è un verbo o altro. Ci sono degli strumenti che vanno applicati, non si va ad orecchio. Anzi, guai ad andare ad orecchio, perché ci porta a considerare non scientifiche l’enorme quantità delle etimologie che circolano. E questo è colpa dei glottologici i quali hanno snobbato la toponomastica per anni e anni e soltanto adesso qualcuno se ne occupa. Io ci ho dedicato un sacco di anni, ma sono una mosca bianca perché la glottologia pensava che nella toponomastica ci fosse un deposito di conoscenze non utili per la ricostruzione storica, in realtà non è così, è esattamente il contrario”.
Questo incontro del Gruppo Archeologico DLF Terni è stato il primo di un progetto quadriennale di ampio respiro cronologico, che va dalla preistoria all’alto medioevo, coordinato dall’archeologo Carlo Virili, che coinvolgerà esperti di diverse discipline di scienze dell’antichità.
Il prossimo appuntamento è l’11 novembre alle ore 17 al caffè letterario della biblioteca comunale di Terni con l’archeologa Maria Cristina De Angelis che affronterà il tema “La grotta dei Cocci di Narni e la preistoria dell’Umbria meridionale”.