Una voce “contro”. Quella di Aldo Tracchegiani Presidente regionale del movimento politico fondato dal presidente della giunta regionale della Liguria, Giovanni Toti, “Italia al Centro”.
“Contro” il gruppo Arvedi autore – afferma Tracchegiani – della espulsione delle industrie ternane da AST.
LA LETTERA DI ALDO TRACCHEGIANI
“In un contesto internazionale, dove anche i prezzi delle materie prime alimentari sono in spaventoso rialzo, un territorio vulnerabile come quello ternano rischia una ancor più una grave crisi economica e costi sociali alti da pagare.
Il maggior contribuente al PIL del territorio del comune di Terni rimane l’AST con 2 mila 700 milioni di fatturato, oggi di proprietà del gruppo Arvedi.
A tal proposito non si può non esprimere preoccupazioni per tutti quei lavoratori delle imprese esterne ternane che collaboravano con il grande gruppo industriale che hanno subito una espulsione da questo settore importante del mercato, con la perdita di centinaia di posti lavoro. La sola Ilserv, se guardiamo l’impresa più importante del settore, conta l’espulsione di 100 lavoratori sui 300 occupati, nelle aziende più piccole la situazione è ancora più grave.
Questa operazione di depurazione del mondo del lavoro ternano non risparmia nessun settore, da quello propriamente industriale a quello della sicurezza, la Sicur-Italia perderà nel complesso 40 occupati, sino ai fornitori di carta che l’azienda preferisce acquistare on line. Le imprese ternane espulse verranno sostituite dalla GAP del gruppo Piantoni Holding srl, con sede a Serate in provincia di Bergamo, e dalla finlandese Tapojärvi.
Un dramma che sta colpendo duramente molte famiglie del ternano e contribuisce all’impoverimento del territorio. Non si intravede con chiarezza né il piano d’investimenti di Arvedi, né un ruolo garante da parte delle istituzioni quali la regione Umbria ed il comune di Terni.
L’unica cosa chiara è che l’Arvedi attingerà ai fondi pubblici messi a disposizione dal PNNR per la cosiddetta decarbonizzazione.
Su questo andrebbe precisato che la produzione di elettricità alimentata a carbone è aumentata del 9,0% nel 2021 a 10.042 Terawattora segnando il più grande aumento percentuale dal 1985. Cina, India, Stati Uniti (dove sono state riaperte tutte le miniere a carbone), rappresentano il 72% del consumo globale di carbone e il 49% dei gas serra. Questo basta per far capire la perfetta inutilità di tutte le politiche di decarbozzazione europee. Non contano nulla.
Inoltre la convenienza economica fa sì che i paesi che lo utilizzano ottengano un vantaggio competitivo dal suo uso avendo costi di produzione inferiori. In questo contesto appaiono poco attendibili le attese di nuovi occupati nel territorio.
La ‘transizione ecologica’, tanto cara al Partito Democratico, non può trasformarsi in macelleria sociale, con tanto di plauso da parte dei sindacati.
All’interno di una situazione difficile di tutto il comparto siderurgico in Europa il trend è l’aumento dei prezzi, la differenza tra la capacità produttiva potenziale massima e quella effettiva, in Europa, si aggira attualmente sui 50-60 milioni di tonnellate, che si traducono in un eccesso di manodopera tra occupati diretti e indotto. In merito al tanto decantato, in queste ore, idrogeno verde, cioè prodotto attraverso elettrolisi, quindi senza produrre co2, vale la pena ricordare che al momento dei 500 miliardi di metri cubi prodotti nel mondo, secondo le stime IEA, solo lo 0,2% è idrogeno verde, visto l’alto costo di produzione e la mancanza d’infrastrutture adeguate per la rete di distribuzione. Le previsioni più ottimistiche rispetto al raggiungimento della competitività economica nella produzione di idrogeno verde sono quelle di Bloomberg per il 2050.
Anche qui i progetti in corso vedono protagonista il denaro pubblico. Ritengo opportuno che i cittadini sappiano cosa nasconde la cascata d’inglesismi che gli è piovuta addosso, che siano informati correttamente su quello che sta accadendo e sugli scenari di un futuro, che è già presente, cui devono essere preparati.”