Basta la parola. Marat. E sono sufficienti poche reminiscenze scolastiche, di ciò che della Rivoluzione Francese si studia già alle Medie. Di Jean Paul Marat, personalità complessa, scienziato, rivoluzionario e poi membro dell’Assemblea nazionale, duro nelle sue posizioni è rimasto nella mente di molti soprattutto il modo di morire: a bagno in una tinozza e per la coltellata di una donna, che resta legata a lui da quella morte curiosa specie per chi non è andato oltre l’infarinatura scolastica sulla storia francese (e mondiale) della fine del Settecento. Era Charlotte Corday, l’assassina. Una fanatica girondina, nemica del montagnardo Marat, l’uomo che aveva scatenato Il Terrore e s’era reso colpevole agli occhi della Corday dell’uccisione dei girondini mandati alla ghigliottina e della proscrizione di quelli che alla pena capitale erano scampati.
Marat e la sua carnefice. Nessuno o quasi – va fatta eccezione per gli studiosi della materia – ricorda un’altra donna che per Marat fu ben più importante: Simonne Evrard, da pochi nominata come “Madame Marat” e non per stima, rispetto o ammirazione. Jean Paul Marat, scienziato illuminista poi fervente rivoluzionario e politico, aveva infatti una moglie: lei, Simonne. Che gli dedicò la sua vita, il suo essere, la sua intelligenza, le sue passioni e, nondimeno, le sue sostanze economiche. Fu lei che consentì a Jean Paul Marat di continuare a pubblicare il suo giornale – L’ami du peuple – quando egli si trovò nelle condizioni di non poter più pagare lo stampatore.
Attraverso quel giornale Marat rendeva note le sue teorie, le idee e gli ideali. Quel giornale era il suo strumento e la sua arma nei confronti dei controrivoluzionari aristocratici o borghesi ricchi che accusava di voler profittare della rivoluzione per trarne vantaggi a spese del popolo. Quel popolo che lo ammirava lo seguiva. Fu lei, Simonne, che permise a Marat, in un certo qual senso, di continuare ad essere Marat. Sostenendolo non solo e non tanto economicamente quando era necessario – cioè molto spesso – ma soprattutto incoraggiandolo, adorandolo per le sue idee che condivideva e spesso contribuiva ad elaborare. Standogli vicino con lealtà ed amore, infondendogli sicurezza.
Una donna, forte. Che sopportò le conseguenze di essere dopo la morte di lui la “vedova Marat” senza essere mai stata considerata davvero “Madame Marat”. Nemmeno dalla storia che, e solo raramente, nel ricordare la sua esistenza l’ha dipinta come una donna ombra, insignificante rispetto alla forte personalità del suo uomo. La sua “compagna” è per lo più ancora definita, forse anche in considerazione del fatto che la loro unione era stata sugellata in una cerimonia che si accordava alle idee illuministe e rivoluzionarie di Marat, cui Simonne a sua volta aveva aderito, ma che per molti non poteva essere un matrimonio vero.
Simonne Evrard ha attirato la curiosità e l’interesse di Stefania Di Pasquale, giovane studiosa – viterbese per nascita, madre francese e padre di Narni – che fa parte del gruppo di ricerca storica Pôlenordgroup di Bruxelles e dal 2019 è ricercatrice presso la Société des Études Robespierristes di Parigi e dell’ARBR di Arras sulla cui rivista, L’Incorruptible”, svolge attività pubblicistica e di saggista. Nonostante la giovane età (è del 1992) da anni si occupa della Rivoluzione Francese e in particolare della figura di Marat, tanto che nel 2019 a Narni, a Palazzo Eroli, ha curato una mostra storico-documentaria sulla Francia rivoluzionaria con cimeli dell’epoca e in particolare una delle otto maschere mortuarie dell’Amico del Popolo e un suo manoscritto.
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Stefania di Pasquale ha riscoperto e valorizzato la figura di Simonne tracciandone la biografia in un libro appena pubblicato: “Madame Marat – Una vita eroica nella tormenta della Rivoluzione Francese”. Si tratta di una biografia storica “curata con documenti inediti” che consente di capire “il ruolo delle donne che si trovano spesso e volentieri dietro a grandi uomini, come il caso della protagonista che fu la musa inspiratrice del patriota francese, colei che si consacrò totalmente alla causa della libertà, dell’uguaglianza, dei diritti e per la parità dei sessi. Una donna che a causa delle sue idee liberali, venne perseguitata per tutta la vita, sia dalle autorità del Direttorio, dell’Impero napoleonico e dal regime della Restaurazione borbonica”, si legge nella presentazione editoriale del testo..
“Spesso leggiamo o vediamo nei film una figura che ha poco a che vedere con la vera persona di questa donna. Ci viene raccontata come se fosse stata una povera serva, una donna da poco conto o addirittura dai suoi più accaniti detrattori veniva chiamata “la prostituta di Marat – scrive Stefania De Pasquale nella prefazione – In verità vedendo il suo ritratto conservato al Musée Carnavalet di Parigi e leggendo le testimonianze dei suoi contemporanei, vediamo che Madame Marat era una donna che non aveva affatto l’aria di un’umile serva, ma di una donna molto distinta, ben vestita, curata nell’aspetto, dolce nei modi e anche molto bella”.
Studiando la figura di Jean Paul Marat Stefania Di Pasquale si è appassionata: “Considero un privilegio aver avuto la possibilità di incontrare questa figura straordinaria di donna – dice Di Pasquale – che ha consacrato tutta la sua esistenza alla causa della libertà e alla memoria di suo marito. Mi ha affascinato leggendo i suoi scritti e vedendo quanto amore c’era in lei e anche quanta sofferenza è stata costretta a patire, soprattutto dopo l’assassinio del consorte per mano di una fanatica girondina”.
Charlotte Corday , appunto.