Di Chiara Furiani
Se esiste un qualche modo di raggiungere la beatitudine su questa terra – e di allontanare la mente e lo spirito da questi tempi bui che stiamo vivendo – ecco, forse è attraverso la contemplazione dell’arte.
“Skylla”, entusiasmante progetto della bassista altoatesina Ruth Gossler è una sintesi perfetta tra due elementi sulla carta davvero poco affini.
Eppure l’alchimia delle eteree linee vocali si sposa perfettamente con il contrappunto del basso elettrico, generando un’atmosfera quasi ultraterrena e un riuscitissimo oltre che ipnotico ibrido che forse è più vicino alla musica contemporanea che al jazz.
La Gossler, con una carriera di tutto rispetto che si è dipanata a Londra, è decisamente da tenere sott’occhio.
“Young Jazz” vince su tutta la linea pure con gli altri artisti convocati per l’appuntamento finale del festival.
Estremamente convincente anche il progetto solo “Ar-Ker” di Sébastien Brun.
Il batterista francese esplora i più remoti recessi, le più nascoste potenzialità del suo strumento e con pochissimi elementi – tutti i pezzi del suo strumento + live electronics – costruisce una partitura molto più articolata di quello che ci si potrebbe immaginare e davvero coinvolgente.
A chiudere la band Y-Otis, metà tedesca e metà svedese.
Quattro giovani strumentisti “spiritati”, letteralmente posseduti dal demone della musica, energia a mille, hanno galvanizzato il pubblico che ha riempito le sale del bellissimo Palazzo Candiotti.
Se il futuro del jazz è quello che abbiamo visto a Foligno, allora c’è ancora speranza.