“Il benessere personale al centro delle priorità”. I giovani di oggi, dunque, non considerano solo la necessità di lavorare (che resta, ovviamente) ma la qualità del lavoro medesimo e quanto esso condiziona la propria vita.
In Umbria è “dirompente” l’inverno demografico che va di pari passo con l’emigrazione dei laureati. In questo contesto si cala la rivoluzione tecnologica, la sfida dell’Intelligenza Artificiale che viene vista dai giovani come una rivale in ambito lavorativo ma ” un’economia innovativa richiede una forza lavoro qualificata, con conoscenze adeguate e continuamente aggiornate. Il miglioramento delle condizioni di sviluppo del Paese, tanto più di fronte agli squilibri demografici che ci caratterizzano, ha come asse principale la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni.”.
DI FABIO NARCISO, ESPERTO DELLE POLITICHE DEL LAVORO
Gli anni che stiamo vivendo ci consegnano forse la rivoluzione più profonda del mondo del lavoro che investe non solo le professioni ed i modelli organizzativi ma la sua scala valoriale quello che un tempo definivamo la “cultura del lavoro”. Quello a cui stiamo assistendo è un cambiamento del paradigma, l’innesco di questa rapida evoluzione è senz’altro il periodo pandemico che si salda con la rivoluzione tecnologica, con la spinta emozionale della pandemia e tutto ciò che ne è conseguito, soprattutto per le tracce indelebili lasciate nei nostri giovani. Oggi rispetto a ieri sono cambiate le priorità dando importanza specifica al tempo libero, ai luoghi dell’abitare e lavorare, ai contesti ed ai modelli produttivi. Tutto ciò è certamente una rivoluzione indotta da fattori esogeni (rivoluzione tecnologica, periodo covid, intelligenza artificiale, smart working) e da fattori endogeni soggettivi (modalità di lavoro a distanza, valore che ognuno di noi attribuisce al tempo libero, formazione, competenze e nuove professioni). I giovani oltre alla gratificazione retributiva, che a volte li spinge a valutare le esperienze all’estero piuttosto che quelle sotto pagate in patria magari anche con contratti precari o addirittura con convenzioni di tirocinio, cercano ora sempre di più fattori che nel tempo hanno acquisito una grandissima importanza quali; i contesti in cui riescono a conciliare le esigenze professionali con quelle personali, gli orari flessibili, il lavoro da remoto, gli ambienti giovani e positivi in una parola viene messo al centro delle priorità il benessere personale.
La sfida in essere è quella di saper interpretare il cambiamento repentino, fulmineo, sia da parte delle aziende, sia da parte dei lavoratori, entrambi si giocano la sopravvivenza all’interno di un sistema trasformato e fortemente competitivo, dove la competizione è diventata globale.
In tutto questo contesto in continua mutazione due fattori risultano per l’Italia in generale e più marcatamente per la nostra “vecchia” Umbria dirompenti: l’inverno demografico che consegna un numero di giovani sempre più ridotto al mercato del lavoro e il fenomeno dell’emigrazione di giovani laureati e/o formati rispetto ad altri contesti più remunerativi e condizione da non sottovalutare con una facilità di carriera ed al contempo con un riconoscimento delle competenze molto più marcato, ossia preferiscono misurarsi nelle società in cui l’aspetto meritocratico è certamente più sviluppato. Solo per fare un esempio riferito al contesto Umbro i numeri dell’impatto della denatalità hanno provocato in Umbria nell’ultimo quinquennio un vuoto di 22.862 persone nella fascia di età tra 20/45 anni quella che è considerata la più produttiva da tutte le indagini nazionali ed internazionali.
In un contesto di questo tipo con molte criticità si cala la rivoluzione tecnologica che alimenta modalità di lavoro e figure professionali in grande trasformazione. L’intelligenza artificiale è senz’altro il primo grande fattore di cambiamento di contesti e lavoratori. Da una recente ricerca effettuata dal blog Skuola.net in collaborazione con ELIS su un campione di 2500 giovani esce che i giovani vedono l’intelligenza artificiale come un rivale generazionale in merito al lavoro ed il 27% crede che IA possa “mettere i bastoni tra le ruote nel percorso verso la realizzazione personale”. Sono i maschi i soggetti più preoccupati in quanto il loro approdo è spesso riconducibile a figure e professioni tecniche. I dati ci dicono che solo il 34% degli studenti universitari utilizza sempre o molto spesso questi strumenti di IA generativa come chatGPT. Il timore più forte dei giovani di fronte ad una profonda trasformazione tecnologica come questa è alimentato dalla mancanza di competenze che anche il sistema dell’istruzione e della formazione non sa colmare in modo strutturale anche per la sua incapacità di dialogare con il mondo esterno, i giovani quindi non si sentano al passo con il velocissimo incedere delle trasformazioni che spingono fuori dal mercato del lavoro i soggetti privi di competenze tecnologiche avanzate, lavoratori che oggi possono essere reperiti facilmente da qualsiasi altro contesto anche grazie alla facilità di lavorare da remoto una rivoluzione che solo pochi anni fa sembrava impossibile da praticare e che oggi invece ha prodotto per esempio un popolo i “nomadi digitali” che sono sempre di più una categoria di lavoratori impalpabili ma certamente reali e competitivi nel mercato del lavoro.
Da tutto ciò deriva che è importante mettere a disposizione opportunità di questo tipo per non perdere ulteriormente competenze o cervelli e per fare ciò è fondamentale che le imprese anche quelle piccole comprendano il cambiamento e che le istituzioni siano in grado di potenziare i servizi, le reti e le infrastrutture materiali ed immateriali.
I timori dei giovani sono suffragati da un recente studio del “Fondo Monetario Internazionale” che stima che quasi due posti di lavoro su cinque saranno interessati dall’intelligenza artificiale, un numero che potrebbe salire a tre su cinque nelle economie avanzate. Le professioni, le competenze cambieranno radicalmente, nei prossimi anni le competenze trasversali, le soft skills, saranno sempre più importanti. Il dialogo naturale e non tecnico che riguarda l’IA, infatti, sposta le competenze su una visione d’insieme, capacità di porre le domande giuste, capacità interpretativa, di conoscenza dei contesti, e molta flessibilità (le soft skills empatia, leadership, pensiero critico, team working, creatività, pensiero laterale ecc. ecc). Da questo deriva l’esigenza di affrontare piani di formazione continua, upskilling e reskilling ripensando a ruoli ed adattandoli ai nuovi contesti. Operazioni da fare con grande velocità perché il progresso tecnologico brucia il tempo e le competenze più velocemente che nel passato. È per questo motivo che i giovani, se formati, sono i soggetti più in grado ad affrontare queste sfide. Gli under 35 sono i più pronti ad affrontare questi scenari. Sembra comunque a tutti chiaro che il processo seppur regolato risulta irreversibile, e quindi l’adozione tempestiva delle tecnologie emergenti, con IA generativa in prima linea, è essenziale per mantenere una posizione competitiva e preservare quote di mercato. Il percorso di crescita per le aziende e per i contesti passa da una digitalizzazione spinta a piani formativi mirati ad investimenti in tecnologie specifici ad innovazione di processo e di prodotto. Logicamente tutto ciò deve essere supportato da piani istituzionali di formazione e di incentivi all’investimento tecnologico unita alla possibilità di mettere in campo una serie di sviluppatori e progettisti capaci di supportare anche la rete delle piccole imprese, un sistema di aiuto istituzionale che abbia come obiettivo primario la crescita dell’intero sistema e delle sue infrastrutture. Purtroppo, dal recente Studio Ambrosetti, si evidenzia che l’Umbria, rispetto al totale delle regioni italiane, si colloca solo al 14° posto in termini di performance legate all’innovazione a dire il vero con una leggera crescita rispetto al 2020, dobbiamo rafforzare e potenziare questa crescita agendo sugli investimenti, sulla formazione dei lavoratori e dei disoccupati, predisponendo reti pubbliche/private in grado di erogare servizi di qualità. I dati ci dicono che la situazione migliora di poco se prendiamo a riferimento gli investimenti in ricerca e sviluppo dove ci collochiamo al 13° posto lontanissimi dal primo posto occupato dall’Emilia Romagna. Come evidenziano gli studi della Banca d’Italia, un’economia innovativa richiede una forza lavoro qualificata, con conoscenze adeguate e continuamente aggiornate. Il miglioramento delle condizioni di sviluppo del Paese, tanto più di fronte agli squilibri demografici che ci caratterizzano, ha come asse principale la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni.
Ormai appare chiaro che la qualità del lavoro è direttamente collegata alla qualità della formazione somministrata ai lavoratori o a coloro che sono in ingresso nel mondo del lavoro, ne consegue che il tutto è collegato alla qualità dei servizi di incontro tra domanda e offerta, ed infine alla qualità delle relazioni all’interno dell’azienda. Tutto questo impone anche una riflessione su come combinare positivamente e in modo inclusivo l’antropologia delle nuove generazioni (potenzialità e sensibilità) con una formazione adatta e una inclusione efficace del loro specifico fattore umano in grado di produrre valore aggiunto nei processi di transizione verde e digitale. Tutto ciò che non funziona nel favorire tale relazione porta a subire il cambiamento anziché governarlo positivamente.
Eppure, il nostro Paese, dovrebbe guardare alla formazione ed all’innovazione tecnologica e nello specifico all’intelligenza artificiale in maniera benevola in quanto si stima che l’industria manifatturiera e la crescita delle risorse umane faranno ottenere il maggior beneficio finanziario dall’adozione dell’IA aprendo le porte a nuove opportunità di efficienza, innovazione e competitività.
Come sempre anche in una rivoluzione tecnologica bisogna preparare la forza lavoro ad accogliere in questo caso l’intelligenza artificiale generativa innanzitutto dal punto di vista dell’organizzazione del modello operativo. Non è da una piccola implementazione su un caso d’uso che si ottiene il cambiamento ed il ritorno dell’investimento e sul cambio del paradigma organizzativo e professionale. Il fattore umano comunque resta centrale, perché può essere il più grande acceleratore o la più grande barriera per un passaggio epocale come quello che abbiamo davanti. Accogliere il cambiamento preparandosi organizzativamente e formandosi è senz’altro l’approccio migliore. Devono essere i giovani a guidare questo processo ne vale il presente ed il futuro. C’è tanto da fare e la velocità sarà la cifra del successo.