La grande acciaieria ternana è in attesa di quello che viene chiamato “Accordo di programma”, che, tra tante chiacchiere ha alla base la ricerca di energia a basso costo. Un problema che segna l’intera Umbria, di cui l’Ast è la maggiore esportatrice.
Senza girarci intorno all’Ast si vede la centrale di Galleto quale elemento imprescindibile per una energia a basso costo, come era prima del 1966, anno della nazionalizzazione dell’energia elettrica. E sembra che tutti siano d’accordo. Per forza: la Centrale è di proprietà dell’Enel, di nessuno dei soggetti che la reclamano, non è del sindacato, dell’Ast o della Regione e nemmeno del Comune di Terni. A volte qualcuno si dimentica che l’Enel è società quotata in Borsa, che vuol dire partecipata dagli investitori italiani e stranieri. Mica può regalare un asset importante come quello che discende dal Lago di Piediluco. Tra l’altro, Galleto è produttrice di “energia verde e rinnovabile”: difficile che l’Enel se ne disfarrà in quanto da Galleto arrivano le autorizzazioni per continuare ad usare il carbone a Civitavecchia.
Arvedi ha improvvisamente messo sul piatto la questione energetica, anche se quando aveva comprato lo stabilimento ternano sapeva benissimo le situazioni. A questo punto viene da domandare come funzione l’approvvigionamento energetico a Cremona, la sede del Gruppo Arvedi: essendo in Italia dovrebbe essere soggetto alle stesse regole di Terni. A meno che non abbia una defiscalizzazione da parte dello Stato, difficile, essendo tale pratica vietatissima dall’Europa.
Un rammarico c’è: in tempi di vacche grasse l’Ast, al tempo tedesca, doveva acquistarla la centrale di Galleto come fece, tanto per dire il Comune di Brescia con la sua municipalizzata (ora A2a) per l’idroelettrico delle Alpi. La mancanza di una visione strategica della politica regionale ha portato alla situazione attuale. Solo il Comune di Terni, diretto da Stefano Bandecchi, ha messo in discussione lo strapotere, un po’ colonialista dell’Enel.
Andrebbero letti, a questo punto, tutti i contratti ed anche la possibilità che nel 2029 la Centrale di Galleto ritorni alla Regione. Non sarà facile: e comunque ci sono ancora cinque anni da gestire, più che sufficienti a far deragliare qualsiasi azienda. E poi non è che una volta diventata pubblica la centrale di Galleto potrà regalare energia a basso costo solo all’Ast, lasciandosi dietro tutte le altre aziende. Un pò di realismo mica guasterebbe.
La defiscalizzazione ad essere sinceri è stato uno strumento adoperato per il Polo Chimico di Narni: il Vescovo Paglia, ai tempi, riuscì davvero a trovare energia a basso costo per lo stabilimento di Nera Montoro. Quella società, straniera, va detto, non fece altro che incamerare le agevolazioni, spostarle in un altro stabilimento del Nord Italia e poi chiudere Nera Montoro. Come dire che si deve stare attentissimi alle evoluzioni della finanza.
Va anche detto che l’Enel non aveva preso per il collo nessuno quando aveva espropriato il Servizio Elettrico della Terni, un fiore all’occhiello: aveva pagato alla Finsider il prezzo stabilito e lasciato il consumo di corrente per quaranta anni a prezzi ridottissimi. Ma gli anni sono passati senza che nessuno avesse mai preso posizione.
Rimane anche la questione dell’ampliamento degli impianti di Viale Brin: il “nuovo” laminatoio a freddo è di tipo sendzmir 52” atto a laminare rotoli di larghezza massima di 1250mm. C’è anche una linea “caldo/freddo”, con revamping fatto dalla Danieli di Udine, dato che in Bahrein era pure andata a fuoco; alla fine, gli impianti sono stati acquistati a prezzo di rottame, che la dice lunga su tutta l’operazione. Va soppesato con attenzione ogni aspetto ma la realtà è questa e le dimensioni di laminazione possono sembrare un dettaglio ai più, invece fanno la differenza: potrebbe finire fuori mercato prima di iniziare a lavorare. Conclusione: se l’Ast è nelle condizioni di acquistare gli scarti di un impianto arabo per il proprio rilancio, bene, il problema potrebbe non essere solo l’energia. E stupisce che nessuno lo rilevi.