“Più volte abbiamo segnalato le difficoltà e le aggressioni a danno del personale che opera nel carcere di Terni, ma in queste ultime settimane la situazione è degenerata, con una escalation di violenza e con l’aumento allarmante dei rischi per la sicurezza dei dipendenti”.
Lo scrivono in una nota Valentina Porfidi e Claine Montecchiani (Fp Cgil), Mario Pragliola (Cisl) e Mario Galletti (Uil), che ricordano in particolare l’aggressione subita da un’infermiera pochi giorni fa, cui sono seguiti altri gravi episodi.
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I sindacati puntano il dito anche contro le “inadempienze della direzione aziendale”, la quale, dicono, non si è attivata in tempo “per rendere agibile la stanza del detenuto, ripristinata solo qualche giorno dopo i fatti anche dietro nostra durissima sollecitazione”.
Altro grave problema segnalato dalle rappresentanze sindacali: il personale infermieristico che lavora nel carcere è costretto a “turni massacranti” e si trova a subire una “pressione psicologica non sostenibile”, con la paura di essere vittima di aggressioni, difficili da evitare anche per la carenza del numero di agenti di Polizia Penitenziaria e per la mancanza di adeguate e immediate sanzioni per quei soggetti pericolosi.
“In questa situazione già estremamente critica – sottolineano ancora Cgil, Cisl e Uil, ogni singolo infermiere deve gestire oltre 100 detenuti e ogni agente 50. Il personale si sente abbandonato, c’è il timore per la propria sicurezza, si ha la percezione che il carcere sia in mano ai detenuti. C’è bisogno di personale infermieristico, è necessaria una riorganizzazione delle attività di assistenza, proprio in virtù della complessità in cui si opera, valorizzando il personale che con passione e competenza opera da anni all’interno della casa circondariale”.
Ieri c’è stato l’incontro urgente con Pierpaolo D’Andria, provveditore per Toscana e Umbria, al quale i sindacati hanno fatto richieste precise: trasferimento urgente di detenuti e ripianamento dell’organico. “Purtroppo, ancora una volta le risposte sono state vaghe e insufficienti – concludono Porfidi, Montecchiani, Pragliola e Galletti – per cui non ci resta che alzare il livello della protesta ricorrendo a tutte quelle che sono le prerogative sindacali”.