Il dato è netto: la spesa pro capite per consumi delle famiglie umbre (20.245,6 euro annui) nel 2023 è del 13,5% inferiore alla media nazionale, che si attesta a 23.406 euro, e del 5,3% sotto la media delle regioni del Centro Italia (21.389,1 euro). Non solo: rispetto alla Lombardia (24.283,7 euro), l’Umbria accusa un ritardo del 16,6%, pari a oltre 4.000 euro l’anno per abitante. Il distacco è evidente anche rispetto a regioni confinanti come Toscana e Lazio, dove la spesa pro capite supera abbondantemente i 21.600 euro.
Crescono i consumi solo in apparenza
Guardando al periodo 2019-2023, i consumi umbri sembrano essere cresciuti dell’11%, ma si tratta di una crescita solo apparente, gonfiata dall’inflazione. Se si calcola la variazione reale – cioè depurata dal carovita – la spesa per consumi pro capite in Umbria è in realtà scesa del 4,7%, più del doppio rispetto alla media nazionale, che registra un calo del 2%.
Solo Piemonte (-4,8%) e Toscana (-5,5%) fanno peggio. A dimostrarlo è l’indagine del Centro Studi Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere. Nel 2023 la spesa complessiva per consumi delle famiglie umbre è stata di circa 17,3 miliardi di euro, ma nel 2019 – a prezzi costanti – ammontava a 18,1 miliardi. Significa che in cinque anni sono evaporati circa 850 milioni di euro di consumi reali. Un’erosione che pesa sia sui bilanci familiari sia sull’intera economia regionale, rallentando la ripartenza dei settori più legati alla domanda interna.
Perugia e Terni, due marce diverse
Il divario si allarga anche all’interno della regione. Un residente della provincia di Perugia spende in media 2.131 euro in più l’anno rispetto a uno della provincia di Terni, con consumi pro capite pari rispettivamente a 20.785,5 e 18.654,1 euro. Una differenza del 10,3%, che si riflette anche nella dinamica temporale: tra 2019 e 2023 la spesa reale per consumi è calata del 4,4% a Perugia e del 5,5% a Terni.
L’Umbria dei consumi è quindi spezzata in due: una provincia relativamente più reattiva, l’altra che arranca. A Terni, il potere d’acquisto delle famiglie è più debole e la ripartenza post-pandemia si è rivelata più difficile. I consumi rimangono compressi, anche nei settori meno rinunciabili.
Il peso degli alimentari cresce quando si spende meno
La contrazione dei consumi si traduce anche in un cambiamento nella loro composizione. In Umbria la spesa per consumi alimentari ammonta in media a 3.897,1 euro per abitante, pari al 19,1% del totale, contro una media nazionale del 18,6% e una del Centro del 18,4%. Il motivo? I beni alimentari sono meno comprimibili: quando si restringe il budget, sono i consumi voluttuari a cedere per primi.
La regola vale anche a livello provinciale. A Terni la quota di spesa alimentare è ancora più alta (19,4%), segnale di una maggiore rigidità del paniere di spesa. Di contro, nelle regioni più ricche il peso degli alimentari è molto più basso: appena 11,5% in Trentino-Alto Adige, 13,3% in Valle d’Aosta, 15,2% in Veneto. Lì, il consumo è meno “necessario” e più orientato alla qualità e al tempo libero.
In termini assoluti, a Perugia la spesa alimentare pro capite è di 3.926,3 euro l’anno, a Terni di 3.810,8. Ma è la quota relativa sul totale che conta: maggiore è l’incidenza del cibo, minore è lo spazio per tutto il resto. Questo spiega anche la fragilità delle economie locali più dipendenti dalla domanda interna.
Il paragone con il Pil: i conti non tornano
Secondo le ultime stime, il Pil italiano, come quello umbro, nel 2023 ha superato il livello pre-Covid, mentre la spesa reale delle famiglie non l’ha ancora fatto. È il segno che la crescita è tornata più nei conti macroeconomici che nella vita quotidiana mostrando che, mentre il valore nominale dei consumi è salito, la quantità reale di beni e servizi acquistati è scesa. In parole povere: gli umbri spendono di più ma comprano di meno. L’inflazione ha svuotato i carrelli e messo sotto pressione il reddito disponibile.
Ultima del Centro, prima del Sud
L’Umbria è così finita in una sorta di limbo statistico: è l’ultima del Centro-Nord per spesa pro capite, ma la prima del Mezzogiorno. Fa peggio della media del Centro, ma leggermente meglio di regioni come Sicilia, Puglia e Calabria. Le Marche la superano di misura, ma sono anch’esse in fondo alla classifica.
Anche guardando ai consumi alimentari totali, l’Umbria rappresenta l’1,4% della spesa italiana, e occupa una posizione intermedia tra Nord e Sud. Ma è un intermedio fragile, perché senza la capacità di agganciare le dinamiche positive del Centro-Nord, e con il rischio concreto di una deriva meridionale.
Un campanello d’allarme, che questa nuova indagine – ancora una volta firmata dal Centro Studi Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere – mette nero su bianco.
“I consumi delle famiglie – commenta Giorgio Mencaroni, il presidenet della Confcommercio dell’Umbria – sono lo specchio diretto dell’andamento dell’economia reale. Se l’Umbria arretra, è perché da troppo tempo sconta una debolezza strutturale sul fronte della produttività. Questo è il vero nodo da sciogliere: senza un rilancio della capacità di produrre valore aggiunto, ogni altra misura rischia di essere tampone. Serve una svolta che unisca investimenti mirati, formazione, digitalizzazione e supporto alle imprese più dinamiche, per rimettere in moto redditi, occupazione e quindi consumi. L’Umbria ha le risorse umane e territoriali per farcela, ma non può più permettersi di rinviare”