Dopo l’intervista rilasciata dalla signora Carmela, sorella di un detenuto recluso a Terni, nella quale accusava agenti della polizia penitenziaria di Terni
“Trasferite mio fratello dal carcere di Terni. È stato picchiato”. Donna si incatena davanti all’istituto di pena di vocabolo sabbione
il sindacato SINAPPE ha scritto una lettera ai sottosegretari alla Giustizia Ostellari e Del Mastro, al capo del dipartimento Di Domenico, al direttore generale del personale Dap Parisi, al provveditore regionale Manzelli e al direttore del carcere di Terni Sardella, affinché intervengano a tutela del corpo della polizia penitenziaria, oltraggiato e infamato.
ECCO IL TESTO DELLA LETTERA DEL SINAPPE
È certamente noto alle SS.LL.II. il contenuto dell’intervista rilasciata a diverse testate giornalistiche online e cartacee, da una donna, incatenata al cancello perimetrale della Casa Circondariale di Terni.
La protagonista, che si qualifica come sorella di un detenuto colà ospitato, giustifica il gesto dimostrativo come uno strumento per sollecitare l’immediato trasferimento del detenuto stesso che, in circostanze non meglio specificate, sarebbe stato vittima di violenza prima da parte di altri detenuti e poi da parte della Polizia Penitenziaria.
Senza voler in alcun modo travalicare i confini della propria competenza e rimettendo l’accertamento della verità alla legittima e doverosa attività degli organi inquirenti e giudicanti, colpiscono due aspetti della vicenda: da un lato il mancato tempestivo trasferimento del detenuto in questione, evidentemente incompatibile con il contesto ambientale, dall’altro il qualunquismo nella gravità delle accuse formulate dalla donna che non possono in alcun modo essere ritenute tollerabili.
“Si sono messi alla pari dei mafiosi le guardie penitenziarie” si ode nel video; e ancora: “si sono messi alla pari dei criminali!”, “ci siamo sostituiti a chi? alla malavita?”. Affermazioni tanto lapidarie quanto oltraggiose e infamanti nei confronti di un Corpo di Polizia dello Stato a fronte di dinamiche ancora tutte da verificare.
Tale atteggiamento è inammissibile, deplorevole, travalicante i confini della critica.
Ci si attende dalle Autorità in indirizzo una presa di posizione pubblica a tutela dell’immagine del Corpo, riportando al centro quel calpestato principio Costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
Ancora una volta si chiede – per il tramite degli Uffici Stampa tanto del Ministero, tanto del DAP – di chiarire i termini della questione, elevando al giusto rango di dignità il diuturno sforzo dei poliziotti penitenziari.
Certi che si condivideranno le riflessioni di cui sopra, si auspica un intervento nel senso suggerito.