E se la facessimo diventare un elemento del territorio, ma bello, riconoscibile, a prescindere dalla fabbrica? Metterla a terra ci vogliono una barca di soldi che meglio si potrebbero adoperare per la sanità, tanto per dire. Ma esempi ce ne sono a bizzeffe. Il bosco verticale di Milano, una colata di cemento armato che viene coperto, benissimo con la vegetazione. Oppure il ponte tibetano di Sellano: nessuno può dimenticare che è di acciaio, che impatta molto sul panorama, ma oggi sta lì a celebrare il suo successo. Insomma, cambiare la ciminiera. A pensarci è stato Sandro Di Mattia, architetto narnese che si è speso nel disegnare progetti ed idee. In due soluzioni: una con la ciminiera avvolta da vegetazione e l’altra sempre con la ciminiera dipinta, colorata in modo vistoso e carino.
Una idea, per carità, ma che rimette la creatività al centro della questione tra chi la vuole buttare giù a tutti i costi (elevati e che qualcuno dovrà pagare) e tra chi la manterrebbe com’è, elemento della fabbrica.
Di Mattia traccia la “terza via”: facciamola bella, poi diventerà ininfluente l’uso e la durata di essa.