A distanza di oltre 2 anni dalla sottoscrizione del “Memorandum d’intesa per la salute” del 20 gennaio 2020, nel pieno di un dibattito fortemente critico sulla proposta del Piano Sanitario Regionale 2021-2025 e sulla tenuta dei conti del Servizio Sanitario Regionale, nonché sulla programmazione dei fondi per la sanità territoriale previsti nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) , la Regione dell’Umbria e l’Università degli Studi di Perugia hanno condiviso il testo definitivo del “Protocollo generale d’intesa” a disciplina della “collaborazione reciproca nel campo delle attività assistenziali, della formazione e della ricerca biomedica e sanitaria”.
L’accordo aggiorna il precedente, sottoscritto nel maggio del 2013 e aggiornato nell’aprile 2015, in attuazione della legge regionale di riforma del servizio sanitario dell’Umbria n.18/2012 che, in particolare, prevedeva l’istituzione di due distinte Aziende ospedaliero-universitarie, a Perugia e Terni, con un unico Comitato di indirizzo.
Comparando i due testi emerge chiaramente come, pur mantenendo un impianto comune, appunto due aziende e un unico comitato di indirizzo e tutta una serie di contenuti vincolati, il testo preveda un deciso spostamento degli equilibri della cosiddetta “governance duale” a favore dell’università.
Si va da una puntigliosa fissazione delle responsabilità economiche di gestione su eventuali disavanzi, alla necessità di concordamento tra direttore generale delle aziende e rettore sia della istituzione di dipartimenti assistenziali sia, addirittura, all’assunzione di “ciascuna unità di personale medico”, previo nulla-osta.
E poi, si ritorna alla individuazione dei responsabili di struttura complessa universitari direttamente da parte del Rettore, superando le procedure selettive riservate, precedentemente previste, e si prevede lo studio di una specifica misura normativa regionale a copertura delle disposizioni sul trattamento economico integrativo del personale universitario.
Ma se quanto sommariamente richiamato può essere ascritto agli attuali rapporti di forza tra università e regione, quello che va sottolineato in termini di impianto organizzativo proposto è proprio l’assenza chiara, in termini di attualizzazione, di ogni riflessione sul tempo trascorso dal D.Lgs 517/99, e soprattutto le questioni cruciali fatte emergere dalla crisi pandemica e le novità collegate al PNRR sanità sui modelli assistenziali.
Se il vecchio protocollo generale non è arrivato alla operatività, prevedendo due accordi, appunto attuativi, pare alquanto complesso dare attuazione ad uno che ne prevede ben sei. Tra i sei ci sono quelli relativi agli assetti organizzativi, che definiscono di fatto il modello di integrazione tra le due aziende: due accordi separati, uno per i dipartimenti e uno per le strutture complesse, da sottoscrivere tra i DG delle Aziende ospedaliere e il rettore.
In sintesi l’architettura che si va delineando denota che:
- allo stato la regione non ha deciso e concordato l’assetto dipartimentale delle due aziende e i livelli/modelli di integrazione, né tanto meno le specialità apicali presenti nelle due aziende e ha solo parlato nelle varie forme di comunicazione di “volontà di superare i doppioni”, abdicando di fatto ad una propria potestà programmatoria sui modelli, tra l’altro non richiamando le prescrizioni del vigente D.M. 70/2015 sugli standard dell’assistenza ospedaliera;
- questo processo di definizione organizzativa, formalmente, è affidato appunto a due distinti protocolli, per i quali non c’è garanzia di coordinamento e dovrà essere concluso/sottoscritto a cura del rettore e dei due DG (insieme o da soli?), tavolo del tutto asimmetrico in quanto lo stesso rettore esprime gradimento in fase di nomina e di valutazione.
Relativamente infine alle necessità di evoluzione dei sistemi sanitari post covid-19 e in linea con la rinnovata centralità dell’assistenza territoriale posta dal PNRR sanità, il protocollo ripropone un modello a silos – e non a rete – di assistenza ospedaliera, su base corporativo-professionale, con nessun legame con il resto del sistema (i riferimenti al ruolo delle Aziende sanitarie locali nel sistema formativo appaiono rituali, si apre ai privati accreditati, non emerge una riflessione sul ruolo degli ospedali di territorio….) e senza alcuna apertura a forme di partecipazione a livello istituzionale territoriale, il cui luogo deputato appare al momento il Comitato di indirizzo.
In conclusione, in assenza di chiari indizi di rafforzamento sul piano clinico-organizzativo (specialità, professionisti, copertura di posti vacanti apicali….) rispetto all’attuale e in presenza dei limiti evidenziati, il giudizio sul protocollo dal punto di vista dell’Umbria sud non può che essere fortemente critico; anche in questo caso riteniamo indispensabile non perdere l’ennesima occasione per l’apertura di un reale dibattito che, a partire dalle potenzialità e obiettivi di questa proposta, ponga al centro dell’attenzione pubblica le decisive scelte strategiche attualmente in atto che riguardano il futuro della sanità umbra.