Le province di Terni e Perugia, rispettivamente all’ottavo e nono posto per crescita del valore aggiunto tra il 2019 -2021 (nel 2021 il Ternano è sopra dell’1,9% rispetto al 2019 e il Perugino dell’1,83% ) e in prima e seconda posizione per aumento del valore aggiunto nell’edilizia (+41,94% il Ternano e +39,85% il Perugino rispetto al valore aggiunto delle costruzioni del 2019), sono nel piccolo gruppo delle 22 province italiane (su 107) che hanno lasciato alle spalle nel 2021 la crisi causata dal Covid, superando la ricchezza prodotta nel 2019 a valori correnti.
Lo si evince dall’approfondita analisi realizzata dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere sul valore aggiunto provinciale del 2021 e i confronti con il 2019, che è una delle tradizionali attività di misurazione dell’economia dei territori realizzata dal sistema camerale.
Se nelle costruzioni le due province umbre appaiono primatiste assolute, si piazzano in posizioni medio-alte nell’industria in senso stretto, dove Perugia è al 21° posto con una crescita del valore aggiunto del 5,21% sul 2019 e Terni in 28esima posizione con +4,72%. Entrambe, quindi, in questo settore hanno superato con decisione la crisi da Covid, con la provincia di Perugia che è al secondo posto nel solo Centro Italia e quella di Terni al terzo. E pure per quanto riguarda i servizi sia la provincia di Perugia che quella di Terni si situano nella parte alta anche della graduatoria (al 15° posto la provincia di Perugia e al 18° quelli Terni), anche se in questo settore non rientrano tra le 9 province italiane su 107 che registrano il segno più, superando quindi i livelli 2019 (il Perugino nei servizi nel 2021 marca, sempre in termini di valore aggiunto -1,19% rispetto al 2019 e il Ternano -1,51%).
Male invece nell’agricoltura, dove la provincia di Terni è al 101° (il valore aggiunto del settore agricolo è ancora inferiore del 10,11% rispetto a quello del 2019) e quella di Perugia al 102° (-10,52%), quindi tra le peggiori a livello nazionale.
L’andamento complessivo del valore aggiunto pro-capite 2019-2021 vede la provincia di Perugia a quota 24.904,24 euro (52° posto in graduatoria nazionale nel 2021, la stessa posizione del 2019) e quella di Terni a 23.030,33 (62° posto in graduatoria nazionale nel 2021, migliorando di 8 posizioni rispetto al 2019).
“L’Umbria complessivamente esce bene dall’analisi del Centro-Studi Tagliacarne – commenta il Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria Giorgio Mencaroni – dimostrando una capacità di resilienza e di reazione capace di portarla tra le realtà che hanno superato i livelli di attività economica pre-Covid e risultando in questo la prima regione del Centro. Esclusa l’agricoltura, il 2021 ha visto un ottimo rimbalzo in tutti gli altri settori: eccellente quello dell’edilizia, buono quello dell’industria manifatturiera, discreto/buono quello dei servizi. All’interno dei servizi, nel 2021 anche il turismo in Umbria ha avuto un incremento più elevato di quello medio nazionale. Ora tuttavia la regione deve cercare di affrontare al meglio nuove difficoltà, dai maxi rincari energetici alla crescita del costo del denaro, all’inflazione che taglieggia il potere d’acquisto. Si deve fare in modo che la spinta propulsiva del 2021 e anche dei primi due trimestri del 2022 non venga dispersa. Ma occorre anche operare guardando al medio periodo, nell’ottica di superare nodi storici che pesano sullo sviluppo dell’Umbria, da quelli infrastrutturali a quelli sull’innovazione e quindi al ritardo nella produttività”.
“Il Covid ha rimescolato la geografia produttiva del Paese – afferma il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete – Registriamo, infatti, la crisi della tradizionale direttrice adriatica dello sviluppo e il rilancio di quella tirrenica, una differenziazione dei fenomeni di crescita nel Mezzogiorno, difficoltà di diverse aree del Triveneto e il rafforzamento delle performances della provincia rispetto a quelle dei grandi centri metropolitani. Se le province a maggiore densità industriale hanno dimostrato una maggiore resistenza rispetto alle altre, resta comunque il dato che questo dinamismo non è bastato a riportare in maniera territorialmente diffusa i livelli precedenti alla pandemia”.