Mons. Giuseppe Piemontese ha celebrato ieri pomeriggio, nel giorno del venerdì santo, la passione di Cristo. Lo ha fatto ancora una volta al cospetto di un Duomo assolutamente deserto, senza fedeli.
Con il vescovo hanno concelebrato: don Alessandro Rossini parroco della Cattedrale, don Carlo Romani, don Stefan Sallisanimarum, padre Mario Lendini, don Roberto Cherubini parroco di Santa Croce. Nella cattedrale sono state esposte la statua della Madonna addolorata e del Cristo Morto, che nella consuetudine vengono portate in processione per le vie del centro storico di Terni, dal santuario di San Francesco fino al Duomo.
“Da una parte siamo noi: smarriti, abbiamo perso le certezze basate sul denaro, potere, la scienza, la società, la politica, la fede – ha detto il vescovo. Noi persone smarrite, in balia dell’incertezza, della malattia, della velocità e rapidità della malattia. Dall’altra parte Gesù: Dio fatto uomo, ha preso su di sé le nostre miserie, le ansie, incertezze, i peccati, anche il sentirsi abbandonati da Dio”.
Al centro della riflessione di Mons.Piemontese, nel giorno che ricorda la morte di Cristo sulla croce, la sofferenza di chi in questi giorni ha vissuto la propria croce della malattia: “Gesù ha sperimentato sulla sua carne, l’angoscia dei malati di Coronavirus, le sue ultime ore di sofferenza sono quelle dei malati di oggi: anche lui ha paura, persino orrore della morte. Anche lui sperimenta l’isolamento dagli amici, i discepoli che rimangono lontani, come nel caso di tante persone malate sole. E poi la carne ferita di Gesù per le torture, anche l’intubazione subita da tanti malati, oggi, può essere simile ad una tortura. Vorrei tracciare questo parallelo: vivere in particolare questa giornata è paragonare le sofferenze dei malati di coronavirus alla passione di Cristo”.
Citando una riflessione del card. Ravasi, il vescovo ha evidenziato come questo momento possa essere di insegnamento per i credenti e non credenti perché “ha svelato la grandezza della scienza, ma anche i suoi limiti. Noi eravamo convinti che con la tecnologia, si poteva risolvere quasi tutto. Era la nostra grande fiducia. E poi il coronavirus ha riscritto la scala dei valori, che non ha più al suo vertice il denaro, il successo, il potere. Infine, ha insegnato lo stare in casa insieme a padre e figlio, a giovani e anziani, e ha quindi fatto capire e riproposto le fatiche delle relazioni, non solo virtuali, ma delle relazioni dirette, semplificando il superfluo e insegnando l’essenzialità. Ma soprattutto ha rivelato un valore supremo: l’amore. Gesù è il nostro eroe, Gesù ci ha salvati col dono della sua vita e ci invita a seguirlo sulla strada dell’amore verso Dio e i fratelli”.
Dopo la lettura della passione di Cristo si è pregato con una serie d’invocazioni per i tribolati e malati di Coronavirus “Dio Padre onnipotente, liberi il mondo dalle sofferenze del tempo presente: allontani la pandemia, scacci la fame, doni la pace, estingua l’odio e la violenza, conceda salute agli ammalati, forza e sostegno agli operatori sanitari, speranza e conforto alle famiglie, salvezza eterna a coloro che sono morti”, ed anche per il mondo intero, per la pace, la concordia, la comunione, la giustizia, per la chiesa, per le categorie della società civile, i credenti e non credenti, per la città.