L’on. Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana-sel) ha presentato un’interrogazione al ministro dello sviluppo economico, per sollecitare il governo perché apra una discussione con la Tyssen-Krupp sul futuro dello stabilimento ternano e in merito alla questione e al mantenimento delle misure anti-dumping per l’acciaio cinese.
“E’ fondamentale ricordare – sostiene Fratoianni – che gli stabilimenti di Terni sono ancora l’industria manifatturiera più importante del centro Italia con i suoi 2300 dipendenti e circa 1000 occupati nell’indotto. Terni rappresenta inoltre l’unica realtà di produzione di acciai inossidabili piani in Italia, ed è l’unica anche all’interno della multinazionale Tk-AST, con una quota di mercato superiore al 40%. E che l’Italia da sola assorbe almeno 1.000.000 di tonnellate di acciaio inossidabile.
Il futuro strategico dell’azienda per il territorio e per l’intero comparto industriale Italiano -aggiunge – dipende proprio dalla sua capacità di mantenere la produzione del così detto “ciclo integrato”, ovvero sia la produzione a freddo che a caldo mentre la chiusura di uno dei due forni elettrici.”
Nell’interrogazione si chiedono dunque chiarimenti “se il governo non intenda richiedere chiarimenti alla Thyssen Krupp su quali siano le reali intenzioni della proprietà, ovvero se manterrà un proprio ruolo nel settore della produzione di acciai speciali o al, contrario se si appresta a dismettere l’intero settore”
Inoltre si vuole sapere dal ministro (o dal presidente del consiglio che, al momento, ha assunto l’incarico) “se il governo consideri le Acciaierie di Terni un impianto strategico per l’intero paese e quali siano le scelte politiche nazionali per la siderurgia, e in tale ambito, quali iniziative si intendono assumere per mantenere e difendere un sito di produzione avanzate come quello ternano.”
Molto importante è poi “Il riconoscimento di status di economia di mercato della Cina, previsto per la fine del 2016 da parte della Unione Europea, e la conseguente caduta dei dazi avrebbe per il settore manifatturiero, enormi conseguenze sul fronte produttivo e occupazionale, In tutti i settori ad iniziare proprio dal settore siderurgico. Si calcola che l’acciaio cinese costerebbe, a parità di qualità , dalle 200 alle 300 euro in meno a tonnellata, rischiando quindi di mettere fuori mercato le produzioni europee”.
“Il piano di rilancio e sviluppo e ristrutturazione firmato dopo ben 140 giorni di sciopero – sostiene Sinistra Italiana – è ancora lontano da essere raggiunto anche a causa di quello che sembra un cambio di rotta della proprietà. Ricordiamo infatti che durante l’incontro al Ministero dello sviluppo economico del 22 marzo 2016 il rappresentante delle relazioni esterne dell’azienda, Peter Sauer dichiarava che la ristrutturazione dell’azienda – non è terminata – ; nel contempo, il quotidiano tedesco «Rheinische Post» ha pubblicato delle indiscrezioni su una possibile joint venture tra Thyssen Krupp e Tata Steel; Massimiliano Burelli, il nuovo amministratore delegato della Thyssen Krupp Ast, appena insediatosi ha avuto modo di dichiarare al Sole 24 Ore che – il milione di tonnellate (di produzione di acciaio fuso) non è un dogma, il secondo forno è attivo e rimarrà acceso fino a quando ci saranno le condizioni economiche che lo permetteranno – ; a ciò si aggiungono anche le nuove fermate degli impianti e la perdita di quote di mercato . ”
” L’azienda – conclude Fratoianni – prima dell’arrivo nel nuovo amministratore delegato, ha messo in campo una serie di razionalizzazioni e un abbattimento dei costi che ha portato nell’indotto un calo circa del 20 per cento degli occupati e una dequalificazione per chi è rimasto con contratti e inquadramenti che hanno abbassato sia le retribuzioni che i diritti. Se è vero che il bilancio 2015 si è chiuso con un positivo –8 milioni di euro rispetto al pesante passivo del 2014 , c’è il sospetto che questa possa rivelarsi più un’operazione contabile , prodromica a future operazioni di riposizionamento dell’impianto, anche perché tale risultato appare il frutto soprattutto di numerosi tagli, anche agli approvvigionamenti, con conseguenti perdite di quote di mercato, soprattutto per le lavorazioni a caldo.
Una riposta a queste domande è urgente sia per il futuro economico ed occupazionale del Ternano e dell’Umbria, sia per l’assetto industriale del Paese.”
L’INTERROGAZIONE AL GOVERNO SU AST
PER SAPERE, Premesso che:
nel dicembre 2014, dopo 140 giorni di scioperi e trattative si è arrivato ad un faticoso accordo tra governo, sindacati e azienda sul futuro della AST Tyssen Krupp di Terni. L’accordo prevede, per grandi linee: intese su alcuni aspetti contrattuali; lo spostamento della linea5 dallo stabilimento di Torino, la cui entrata in funzione è prevista per la fine di quest’anno; la tutela dei contratti a tempo determinato e di apprendistato; un percorso per garantire la tutela anche dei lavoratori delle ditte terze e alcune questioni riguardanti il contratto integrativo. Il punto centrale è però il piano di rilancio e sviluppo e ristrutturazione su 4 anni che si pone l’obiettivo di garantire almeno un milione di tonnellate di fuso attraverso il mantenimento dei due forni; un piano di investimenti e una politica commerciale adeguata;
a meno di due anni da quest’accordo – pagato duramente dai lavoratori sia diretti che delle ditte terze, e dall’intero territorio, a causa della diminuzione dei livelli occupazionali – non solo non si sono raggiunti questi obbiettivi, ad iniziare da quello relativo alla lavorazione a caldo, ma sono molti i segnali che fanno pensare ad un cambio di rotta della proprietà Tyssen Krupp, tale sia da mettere in dubbio il rispetto di quell’accordo, sia da rendere molto incerto il futuro del sito ternano;
durante l’incontro al Ministero dello sviluppo economico del 22 marzo 2016 il rappresentante delle relazioni esterne dell’azienda, Peter Sauer dichiarava che la ristrutturazione dell’azienda «non è terminata»; nel contempo, il quotidiano tedesco «Rheinische Post» ha pubblicato delle indiscrezioni su una possibile joint venture tra Thyssen Krupp e Tata Steel;
Massimiliano Burelli, il nuovo amministratore delegato della Thyssen Krupp Ast, appena insediatosi ha avuto modo di dichiarare al Sole 24 Ore che «il milione di tonnellate (di produzione di acciaio fuso) non è un dogma. Il secondo forno è attivo e rimarrà acceso fino a quando ci saranno le condizioni economiche che lo permetteranno». A ciò si aggiungono anche le nuove fermate degli impianti. A quanto riferiscono fonti interne all’azienda, le fermate tecniche mensili dell’area a caldo delle acciaierie diventano ancora più lunghe del solito (ad esempio, il Forno 4 è rimasto fermo dalle ore 6 di sabato 23 aprile 2016 per ripartire solo alle ore 6 di lunedì 2 maggio. Aod3 e Cco7 hanno fermato sabato 23 aprile alle ore 14 per riprendere a produrre lunedì 2 maggio alle ore 14. Il Forno 5 si è formato da mercoledì 27 aprile alle ore 22 a lunedì 2 maggio alle ore 6. Aod2 e Cco3 si sono fermati dal 28 aprile alle ore 6 fino al 2 maggio alle ore 6). Da qui la richiesta per l’apertura della cassa integrazione ordinaria per i lavoratori interessati;
l’azienda, prima dell’arrivo nel nuovo amministratore delegato, ha messo in campo una serie di razionalizzazioni e un abbattimento dei costi che ha portato nell’indotto un calo circa del 20 per cento degli occupati e una dequalificazione per chi è rimasto con contratti e inquadramenti che hanno abbassato sia le retribuzioni che i diritti. La regione Umbria, nell’accordo del 3 dicembre 2014, si era impegnata a stanziare fondi per la salvaguardia dei livelli occupazionali e delle professionalità dei lavoratori dell’indotto, ma nulla è stato fatto in questo senso;
è vero che il bilancio 2015 si è chiuso con un positivo –8 milioni di euro rispetto al pesante passivo del 2014 quando il bilancio si era chiuso con –127,6 milioni di euro, ma c’è il sospetto che questa possa rivelarsi più un’operazione «contabile», prodromica a future operazioni di riposizionamento dell’impianto, anche perché tale risultato appare il frutto soprattutto di numerosi tagli, anche agli approvvigionamenti, con conseguenti perdite di quote di mercato, soprattutto per le lavorazioni a caldo;
il piano che si sta mettendo in essere sembra prevedere l’incremento della produzione di laminati a freddo da 400 a 500 mila tonnellate e la contemporanea diminuzione, da 600 mila a 360 mila tonnellate, di laminati a caldo;
a tutto ciò si aggiungono due fattori di contesto molto importanti. La diminuzione, in Europa, del fabbisogno di acciai sia comuni che speciali: si è passati da un consumo di 180 milioni di tonnellate di acciaio agli attuali 130 milioni circa e, per quanto riguarda gli speciali, si è passati da 5 milioni agli attuali 2 milioni;
il riconoscimento di status di economia di mercato alla Cina, previsto per la fine del 2016, da parte della Unione europea, e la conseguente caduta dei dazi avrebbe, per il settore manifatturiero, enormi conseguenze, in alcuni casi devastanti, sul fronte produttivo e occupazionale. In tutti i settori e ad iniziare proprio dal settore siderurgico. Si calcola che l’acciaio cinese costerebbe, a parità di qualità, dalle 200 alle 300 euro in meno a tonnellata, rischiando quindi di mettere fuori mercato le produzioni europee –:
se il Governo non intenda richiedere chiarimenti alla Thyssen Krupp su quali siano le reali intenzioni della proprietà, ovvero se manterrà un proprio ruolo nel settore della produzione di acciai speciali o, al contrario, se si appresta a dismettere l’intero settore;
se il Governo consideri le Acciaierie di Terni un impianto strategico per l’intero Paese;
quali siano le scelte politiche nazionali per la siderurgia, e, in tale ambito, quali iniziative si intendano assumere per mantenere e difendere un sito di produzioni avanzate come quello ternano.