La celebrazione della messa in Coena Domini del giovedì santo è stata presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu all’interno della Casa Circondariale, prima volta che questo importante momento del triduo pasquale viene celebrato dal vescovo nel carcere di Terni. La messa è stata concelebrata dal cappellano del carcere padre Massimo Lelli, dal diacono Ideale Piantoni e alla presenza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, del presidente dell’associazione di volontariato San Martino Francesco Venturini, della responsabile del settore carcere della Caritas Nadia Agostini, di altri volontari e operatori all’interno del carcere. Nel corso della celebrazione, molto partecipata e vissuta con particolare intensità e raccoglimento dai detenuti, il vescovo ha ripetuto il gesto della lavanda dei piedi a undici detenuti e ad un volontario. «Gesù con la sua morte e resurrezione – ha detto il vescovo ai detenuti – ci libera dalla schiavitù del peccato. Ci libera dal carcere più duro, che è quello che è nel nostro cuore. La libertà dei figli di Dio supera le barriere di ogni carcere, perchè il carcere più duro è quello di fronte a se stessi, non vi è situazione più dura di quella di non vedere una prospettiva. Quando siamo assediati dal peccato cosa ci potrà liberare? Solo il Signore, vincitore della morte. In questa celebrazione ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena. Il significato di quel gesto, che dice la presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, rivela anche qualcosa di molto pratico che ciascuno è chiamato a fare; e se l’eucaristia sacramentalmente è propria del sacerdote, il suo significato reale lo possiamo fare tutti quanti, nel donarci agli altri. Nello stesso lavare i piedi da parte di Gesù agli apostoli è espresso il senso profondo del servizio, sino alle estreme conseguenze, cioè dare la vita per gli altri. Il tradimento di Gesù è il nostro tradimento, di ciascuno di noi, davanti al quale dobbiamo fare i conti, o cadere nella disperazione come Giuda, oppure in un pentimento profondo come è stato per Pietro. Però il pianto amaro non deve cadere nello sconforto definitivo, ma aprirsi alla speranza, perchè quello che è morto dentro di noi, con l’aiuto di Gesù, può rinascere a vita nuova».