“Finora, nel suo iter culturale, il Gruppo Archeologico ha sempre rivolto le sue attenzioni alla “terra” come custode del nostro passato: stavolta ha scelto di privilegiare l’elemento “acqua” che, silenziosamente, conserva e sorveglia il sonno di antiche vestigia, quelle certe tracce di una vita che fu. Un particolarissimo tema, di grande fascino, rivelatosi essere mai stato affrontato nella nostra città ed alla cui attuazione tenevamo particolarmente.”
Così Maria Cristina Locci, responsabile del Gruppo Archeologico, ha introdotto la conferenza intitolata “La ricerca archeologica in acqua e la valorizzazione dei beni” tenuta dal Professor Costantino Meucci,Consulente Unesco per la conservazione del patrimonio, nel Caffè Letterario della Biblioteca Comunale di Terni.
“Il Professor Meucci ci ha mostrato la magia di quel mondo nascosto dal mare – ha aggiunto Maria Cristina Locci – con l’intento di inculcare profondamente nelle nostre coscienze la consapevolezza di rispettare e proteggere i beni archeologici subacquei lì dove sono stati trovati. Un incontro di grande impatto e bellezza, che ci ha aiutato a comprendere come il mare possa racchiudere innumerevoli notizie di profondo interesse sulle civiltà passate, così da conseguire quell’obiettivo che da sempre ci prefiggiamo, cioè conservare e valorizzare il passato continuando a guardare al futuro, anche per diffondere la conoscenza tra la gente comune e tra i nostri giovani”.
L’archeologia subacquea è una disciplina relativamente giovane, ha circa sessant’anni di vita. Questa affascinante scienza, seppur ispirata dalle stesse regole che si utilizzano a terra, a causa del diverso elemento nel quale opera, appunto l’acqua, comporta delle difficoltà particolari che vanno dalla gestione alla tutela, alla valorizzazione del patrimonio recuperato.
“La maggior parte dei rinvenimenti subacquei è casuale, ha spiegato il professor Meucci, ci può essere un pescatore che pesca qualcosa con le reti e fa la segnalazione oppure il subacqueo che trova un giacimento e fa la segnalazione, ma ci può anche essere una mareggiata che scopre un sito. Poi ci sono gli interventi programmati che derivano da studi preliminari, da ricerche in archivio, da vecchie segnalazioni che vengono riprese. Recuperare il materiale comporta una serie di operazioni a terra che sono lo stoccaggio, il restauro, l’immagazzinamento e l’esposizione. Sono tutte operazioni lunghe e costose. Se i materiali sono in buone condizioni tutto ciò si può fare, se sono di piccole dimensioni è abbastanza semplice, ma se si tratta di strutture grandi come un relitto si pongono grossissimi problemi. Tant’è vero che dal 2001 l’Unesco ha sancito un accordo con tutti i Paesi membri perché la conservazione sia fatta in acqua, cioè i siti debbono essere tutelati in acqua. Negli ultimi anni, infatti, si sta sviluppando il restauro subacqueo – evidenzia il professor Costantino Meucci – e più recentemente la musealizzazione sott’acqua dei siti archeologici”.
E l’emozione per il rinvenimento di un reperto è sempre molto forte.
“Quando si scopre qualcosa di nuovo si ha un tuffo al cuore – conclude il professore – e man mano che gli scavi procedono ci sono emozioni forti, ma ognuna è diversa dall’altra, ogni ritrovamento ha la sua bellezza.”