DI MARCO SANSONI, PRESIDENTE UMBRIA DI ITALIA NOSTRA
Arvedi è sbarcato in Umbria un anno e mezzo fa.
Il Gruppo industriale cremonese ha infatti acquisito gli stabilimenti delle Acciaierie di Terni, con i loro grandi e irrisolti problemi emissivi in termini di metalli pesanti nell’aria e nei suoli, la lisciviazione di scorie e fanghi siderurgici nelle acque di falda, la fallace depurazione che inquina il fiume Nera.
Eppure, pochi giorni fa, il Cavaliere Arvedi, in una lettera al personale, ha ridotto a poca cosa una questione ambientale e sanitaria così complessa.
Arvedi infatti, in modo molto discutibile, sostiene di volersi concentrare unicamente sulla movimentazione di parte del rifiuto dell’acciaio, garantendo di confinare in ambiente chiuso le scorie bianche inox, da utilizzare poi per le bitumazioni, se la sperimentazione annunciata in merito avesse prima o poi successo.
Peccato che questo progetto sia l’ennesimo tentativo del genere, il quarto o quinto in 10 anni: il valore scientifico è ignoto e gli esiti altrettanto indeterminabili. Come che finisca, l’unica cosa sicura è che Arvedi riuscirà a comprare del tempo, proseguendo frattanto a inquinare come sempre: infatti su tutto il resto dei problemi il silenzio è totale.
Ad esempio, il Cavaliere avrebbe dovuto indicarci dove porterà quelle circa 3-400.000 tonnellate annue di rifiuti, scorie residue, fanghi, etc., che regolarmente avanzeranno ancora per decenni dalla produzione siderurgica: abbancherà questi rifiuti di nuovo tra Pentima e Valle, con la solita guaina-lenzuolo, laddove alcuni piezometri registrano tuttora tassi fuori scala di nichel e cromo esavalente nelle acque sottostanti?
Ma c’è altro: perché Arvedi non annuncia l’immediata sostituzione dei più obsoleti macchinari dell’area a caldo che, in certi casi, tra un po’ festeggeranno il secolo di vita, revamping o meno?
Davvero vuole farci credere, Commendatore, che con tanto vecchiume ereditato, non si registrino criticità ai camini?
Quali sono, in trasparenza, gli investimenti che intende avviare, se non si parte almeno da qui ?
Nel mentre, molti lavoratori del metal recovery, del parco rottami, del parco scorie, vivono e operano nella polvere più estrema, come chiaramente emerge da multiple immagini satellitari, che qui intendiamo allegare per dimostrare come tali aree non vengano nemmeno bagnate a sufficienza, come viceversa imporrebbe l’AIA.
Visto che molti quartieri di Terni registrano livelli di nichel e cromo in aria e suoli tra i più alti d’Europa, a maggior ragione è matematico che questi e altri lavoratori Arvedi-AST respirino veleni su veleni.
Se poi si andassero a guardare le immagini degli anni precedenti, cosa possibile con Google Earth, si constaterebbe sempre la stessa situazione, fenomeno addebitabile certamente a Thyssen Krupp e ai tanti che non l’hanno mai combattuta.
Con Arvedi nulla è cambiato: grazie alla notevole risoluzione fotografica delle immagini satellitari, per certe aree si osservano addirittura gli strati di questa ‘neve’ calci-metallica, depositata pure nelle zone limitrofe, dai binari della ferrovia interna ai parcheggi adiacenti, sui tetti degli stabilimenti e così via. In misura minore ma non marginale, tali polveri, per via della dispersione aeraulica, sicuramente arrivano fin dentro la città, da Prisciano in poi.
Ma come si possono accettare simili condizioni di lavoro nel 2023?
Sarebbe benvenuta almeno un’analisi ufficiale sui reali tenori di metalli nell’aria e nei suoli proprio dentro le Acciaierie, a tutela delle migliaia di persone che la frequentano per lavoro, laddove ARPA non ha mai resa nota l’esistenza di un solo e proprio dispositivo di campionamento, laddove la Regione non ha mai imposto serie e costanti verifiche pubbliche, laddove il Ministero dell’Ambiente non ha mai avviato una mezza bonifica dell’ampio SIN nazionale sopra il quale le Acciaierie sono collocate.
Dinanzi a questo scenario, fotografia peraltro parziale, se si vogliono osservare gli ormai prossimi limiti europei per l’inquinamento da metallo, obbligati dal rispetto degli altri ancor prima che dalla legge, occorrono investimenti miliardari centrati sui problemi veri, attrezzature adeguate e una coerente presa di coscienza civile, industriale, culturale, secondo cui comprare tempo con proposte tecniche minimali e velleitarie servirà solo a smascherare più rapidamente una crisi di progetto e la cinica indifferenza per i beni comuni.