Celebrata dal vescovo Francesco Antonio Soddu nella Cattedrale di Terni la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”.
Alla celebrazione erano presenti i canonici della Cattedrale di Terni, il parroco don Alessandro Rossini, il sindaco di Terni Leonardo Latini, l’assessore della Regione Umbria Enrico Melasecche, i rappresentanti delle altre autorità militari, dei cavalieri e dame dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, delle associazioni e movimenti ecclesiali.
«Vogliamo anzitutto ringraziare il Signore per il tempo che ci ha dato di vivere con tutte le gioie, i travagli ed anche i dolori – ha detto monsignor Soddu – e nel contempo chiediamo anche perdono per tutto quello che avremmo potuto fare e che invece è rimasto inevaso tra le pagine del calendario trascorso».
Ha ricordato quindi la situazione attuale con il conflitto in Ucraina e in altre parti del mondo e la morte di papa Benedetto XVI, esprimendo il cordoglio della comunità ecclesiale diocesana.
«La parola del Signore è sempre costante nel tempo e quindi è anche per noi; Dio si rivela a noi sempre. Pertanto l’atteggiamento dei pastori sia per noi di esempio: così come essi fecero, cioè andare senza indugio, senza tentennamenti o remore di sorta, dev’essere anche per noi. Papa Francesco ci invita con costante frequenza a considerare i luoghi in cui oggi si trova la carne viva del Signore, tra gli ultimi, gli scartati, i bisognosi. È lì, in questi luoghi, purtroppo sempre presenti nella loro drammaticità, potremmo trovare il segno grande della presenza del Signore. Nella misura in cui faremmo questo senza indugio, potremo anche scorgere la nascita del Signore Gesù sia nella nostra vita sia in quella di coloro che andremo a incontrare. Chiediamo pertanto perdono al Signore per tutte le volte in cui sia l’umanità intera, sia la locale società, come anche la nostra Chiesa, non siano state in grado di interpretare questi segni della presenza del Signore nei nostri fratelli.
All’inizio dell’anno, come sempre, ci scambieremo gli auguri per un nuovo anno ricco di Grazia, nel primo giorno dell’anno in cui si celebra la giornata mondiale di preghiera per la pace. Mai come in questo tempo sentiamo il desiderio, il bisogno della pace; riecheggiano ogni giorno i vari appelli affinché, specialmente il conflitto in Ucraina vada a concludersi presto. I Santo Padre, insieme alle ripetute e accorate sollecitazioni in merito, per questa giornata ha voluto, come ogni anno, indirizzare un messaggio “Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”. Come sappiamo la pace, prima ancora d’essere un desiderio a cui tutti, specialmente in questo periodo siamo rivolti, è un dono di Dio. Sì di Dio perché nessuno all’infuori di lui può donare la vera pace; tutti i tentativi da parte degli uomini, paradossalmente, sono stati il risultato di guerre e sopraffazioni. È un dono che Dio e come tale va accolto, custodito e costruito mediante l’apporto personale e di tutti. Scrive il papa: “Da tale esperienza (quella del covid) è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali”.
“Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune”».