L’aria non era buona. Lo si capiva al volo già la notte tra il 2 e il 3 maggio nello stanzone di via Mazzini, sede del Pd ternano. Li era riunita l’assemblea comunale del partito che doveva decidere solo una cosa: il nome del candidato sindaco per le prossime elezioni comunali di giugno.
Non è certo agevole trovare qualcuno serio che accetti di essere il candidato di una forza politica cui, a torto o a ragione, in tanti imputano lo sfascio del Comune e i problemi della città. Compito di un dirigente avveduto sarebbe stato – in assemblea – almeno quello di cercare il massimo possibile di unità del partito. Di un Pd chiamato ad una prova difficilissima per tante ragioni e non tutte ternane, come si sa.
Ma si può ritenere possibile cercare l’unità se alla riunione decisiva si propongono due nomi in alternativa? Quanto meno si presta il fianco a chi avesse in animo di utilizzare per il peggio un’occasione servita su un piatto d’argento.
E infatti il Pd ternano, alla fine, si è spaccato: la minoranza da una parte, la maggioranza (e manco tutta, viste le assenze) dall’altra.
Era d’obbligo stringere i tempi alla fine del dibattito. chiuso all’una dell’altra notte, dopo che la minoranza che aveva lanciato un salvagente (o forse era un amo?) ignorato e non afferrato con fermezza. Eppure poteva consentire a tutti di non affondare. Constatata la non transitabilità del nome di Nicola Romito, sarebbe probabilmente bastato porre subito e con fermezza il nome di Paolo Angeletti, come candidato – quale era – di tutti. E su questo rivolgere un appello alla coscienza di tutti e all’unità d’intenti. Questo, a lume di naso, era ciò che a nome della minoranza aveva proposto Eros Brega. Avrebbe potuto tirarsi indietro, a quel punto?
Ma la replica che ci si aspettava – tanto era ovvia – da parte della segretaria a chiusura del dibattito è stata tutt’altra. Un intervento divisivo, il suo al pari della scelta delle due candidature presentate in apertura. Altro che unità! Altro che seppellire sotto una bella pietra (tombale a questo punto) gli screzi, le liti, le invidie, le lotte di potere del passato. Certo non basta un semplice colpo di spugna, ma l’occasione era favorevole per avviare un’opera catartica ormai vitale per il Pd. “Io non ho capito cosa volete – ha detto invece la segretaria – Io speravo in una riunione chiarificatrice, ma non ci ho capito niente. Prendiamoci una pausa di riflessione e fatemi sapere”. Chissà se le sarebbe davvero dispiaciuto che alla fine l’unità si fosse andata cercare in una terza candidatura? E chissà se le sarebbe dispiaciuto che qualcuno avesse proposto la soluzione istituzionale, ossia un Pd che metteva in campo la sua massima carica dirigenziale, cioè lei?
Il presidente dell’assemblea, un accorato e sconvolto Sandro Piccinini, provava a metterci una pezza aggiornando la riunione al pomeriggio del giorno dopo. Cioè a oggi 3 maggio. Data che forse sarà da cerchiare con un segno rosso sul calendario. Perché il rischio è che corrisponda ad un suicidio politico assistito. La minoranza se n’è stata a casa, la maggioranza ha votato, tutta, a favore della candidatura di Paolo Angeletti, la “minoranzina” dei Nativi democratici ha annunciato, frenando l’istinto, di astenersi solo per rispetto di una persona che aveva il coraggio di assumere sulle sue spalle una situazione difficilissima.
Paolo Angeletti, ormai candidato ufficiale, è invitato a farsi conoscere. E dopo poco arriva da casa: “Mi danno tutti del matto – confessa all’orecchio del vecchio cronista – ma qualcosa bisogna pur fare…”. Poi sale sul palco, si presenta con un discorso breve che è già quasi una rivoluzione, fatto lì dentro . “Ci sono qui alcuni vecchi amici ma la maggior parte dei presenti non mi conosce, sono i giovani. So di avere da solo l’età di due di loro ma sappiano che sono pronto a confrontarmi, ad accogliere i loro suggerimenti, a conoscere le difficoltà loro come quelle di chiunque altro. Da questo momento sono a disposizione di tutti i cittadini, quelli del Pd e non. Per sentire il loro parere, le loro richieste, i problemi che ritengono più urgenti tra i tanti di questa città. Una città – ha continuato – dove vivo da 72 anni: la conosco”.
Poche parole e qualche novità: “porte e finestre aperte, parlare con la città e nella città”.
Toh! Manco a farla apposta proprio quello che chiedeva, inascoltato, Alessandro Pardini prima di andarsene dal Pd. E ora pare che Pardini sarà candidato di una lista civica, per la quale – è prevedibile – si spenderanno le energie della minoranza ex pardiniana del Pd.
Anche a Terni un Pd con due candidati? Da destra guardano con gli occhi e la bocca spalancati: un regalo così – un altro – non se l’aspettavano proprio.