Mentre scriviamo Forza Italia non ha ancora detto sì al candidato sindaco di Terni presentato dalla Lega , l’avvocato Leonardo Latini e il Partito Democratico, ancora non ha individuato la personalità da immolare per la causa, diciamo il Giachetti della situazione , anche se Giachetti (grazie alle divisioni del centro destra) conquistò almeno il ballottaggio che poi perse contro Virginia Raggi, attuale sindaco di Roma.
E non sappiamo nemmeno ancora quante saranno le Liste Civiche che si presenteranno, a fianco o contro i partiti strutturati.
Civisimo, civismo. Sembra essere la panacea di tutti i mali. E’ così?
L’ex assessore alla cultura del Comune di Terni, Giorgio Armillei, fa delle riflessioni sul ruolo del civismo e su ciò che servirebbe a questa città.
Ecco il suo intervento.
Il civismo è di moda. Non si capisce bene cosa sia ma è sicuramente di moda. Tutti a caccia di candidati civici e di liste civiche, in particolare il ceto dirigente del PD ternano, sorvegliato a vista dalle postazioni di governo regionale, sembra diventato specialista in civismo. È possibile tentare di fare un po’ di chiarezza? Il civismo vorrebbe dare voce alla voglia di coinvolgimento dei cittadini, degli elettori, di gruppi e organizzazioni sociali. Cioè manifesta una volontà di allargare il grado di inclusività del sistema politico, cercando di andare oltre le capacità attrattive del sistema dei partiti. Nel momento in cui evolve in direzione di una partecipazione diretta alla competizione elettorale, il civismo tuttavia assolve alle medesime funzioni dei partiti politici: strutturare il processo elettorale aggregando interessi, selezionando classe politica e orientando l’opinione pubblica.Il civismo a proiezione politica è dunque una specie del genere partito politico. Su questo è meglio sfatare da subito i miti: il civismo politico è fatto di una logica partigiana (salutarmente partigiana) quanto i partiti politici. La neutralità non ha cittadinanza, anche quando veste i panni della competenza. La politica in un regime democratico è conflitto e contrapposizione sulle quali giunge il giudizio degli elettori. Senza parti non c’è conflitto, dunque non c’è democrazia.Se il civismo è necessariamente partigiano, nel senso che come ogni partito politico si fa parte per far funzionare il sistema democratico, cosa lo distingue dal normale funzionamento del sistema dei partiti? In realtà noi abbiamo a che fare con più modelli di civismo, sia locale che nazionale. Tutti muovono da una piattaforma di disaffezione e insoddisfazione verso le performance dei partiti esistenti e dei loro gruppi dirigenti. Ma questa coppia (disaffezione e insoddisfazione) si rivolge verso obiettivi diversi, si rappresenta in modo diverso e concorre a definire diverse coalizioni dominanti dentro il più ampio sistema politico.Esiste così un civismo tecnocratico che immagina di mettere al posto del processo di decisione politica, con tutti gli annessi e connessi di un sistema democratico, un processo di valutazione tecnica. È un civismo che sostituisce al codice della politica, fatto dalla dinamica potere/consenso, il codice della scienza, fatto dalla dinamica verità/falsificazione. Esiste poi un civismo narcisistico che si struttura intorno all’esigenza di una o più personalità di rendere possibili accadimenti politici che ne confermino la centralità e la visibilità. Il civismo narcisistico non bada dunque alla conquista di una posizione in grado di condizionare il processo di decisione politica, quanto alla conquista di una posizione in grado di soddisfare il bisogno di visibilità di chi lo promuove. Civismo tecnocratico e civismo narcisistico sono due modalità che finiscono con il prescindere dal significato proprio delle istituzioni politiche. Il primo adora la tecnica, il secondo adora l’ego: la politica ne resta fuori. Con il civismo dei compagni di strada passiamo a una terza forma nella quale si comincia a giocare con le regole della politica. Il civismo dei compagni di strada è a tutti gli effetti una strategia di marketing dei partiti in crisi di consenso, una specie di green washing o, come meglio si potrebbe dire nel caso di Terni, di red washing. Compagni di strada nel senso proprio della tradizione comunista: simpatizzare dall’esterno senza avere alcun peso nel processo decisionale, nel partito o nelle istituzioni di governo, ma allargando il consenso a vantaggio di chi detiene le leve di comando dei partiti da risanare. Insomma, un civismo sì politico ma alla fine ruota di scorta dei ceti dirigenti dei partiti che lo promuovono. C’è poi il civismo trasformativo, quello che intuisce l’esistenza di una finestra di opportunità che si apre quasi sempre in occasione delle fasi di transizione e mette in piedi una proposta parzialmente o totalmente alternativa allo stato dell’arte dei partiti esistenti in vista di una ristrutturazione stabile e non transitoria del sistema o di uno spostamento radicale di linea politica dei partiti stessi. Possiamo dire un civismo anticipatore, un civismo che cucina prima di altri piatti che entreranno a far parte stabilmente del nuovo menù del sistema dei partiti. È il civismo di Ciaurro – e di quasi tutti i Sindaci della stagione 1993 – che si incunea con una proposta politica trasformativa, non senza l’aiuto di elementi accidentali, dentro la crisi del bipartitismo imperfetto del sistema politico locale fondato su PCI (PDS) e DC, anticipando in qualche modo lo stesso Berlusconi. È il civismo di Cacciari che nel 2005 a Venezia – ben prima del PD delle primarie – dimostra una contendibilità della leadership del centrosinistra che affida agli elettori e non alle correnti di partito la parola definitiva. Sotto certi aspetti è anche il civismo di Macron che nel 2017 prende atto della fine del PS, del tramonto della forza trainante della frattura tra destra e sinistra e costruisce una proposta politica – interna al contesto francese – lungo il nuovo asse apertura liberale vs chiusura sovranista, dando luogo a una ristrutturazione del sistema dei partiti francese. C’è da però chiedersi se a questo punto il civismo trasformativo sia ancora una forma di civismo e non invece un modo apparentemente più indolore per etichettare una condizione di stato nascente nei processi di trasformazione del sistema dei partiti politici. Insomma, non servono tecnocrati, narcisisti o compagni di strada: serve un assetto del sistema dei partiti che risponda alle nuove fratture sociali e alle trasformazioni della città. Un assetto che nasce dal coraggio di una proposta politica nuova.