Sono solo 3 su 92 i comuni umbri in cui il Pd, nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018, aumenta i suoi voti rispetto alle precedenti elezioni del 2013: Sellano (+29,2%), Cascia (+9%) e Scheggino (+1,6%). In un municipio (Monteleone di Spoleto) resta invariato e negli altri 88 presenta decrementi, in molti casi pesanti. Il comune in cui perde più consensi è il minuscolo Poggiodomo (52,4%). Subito sopra Scheggia e Pascelupo (-47,6%), Montefranco (-46,6%), Lisciano Niccone (-42,5%). I dati più significativi riguardano tuttavia i comuni sopra i 10mila abitanti e in tutti il Pd mostra decrementi significativi: dove va peggio è a Umbertide (-39,5%), patria del non rieletto senatore Giampiero Giulietti. Molto male anche Terni (-38,8%), che vive una delicatissima situazione economica e istituzionale e dove i dem lasciano sul campo in queste elezioni ben 8mila 348 voti. Rispetto a Terni fa meglio Perugia, che pure registra un pesante arretramento, che si ferma però a -22,7%, 16 punti percentuali meglio di Terni. Crolli anche a Gubbio (-35%) e Narni (-33,1%). Il comune sopra 10mila abitanti in cui il Pd perde meno è Assisi, dove in termini di voti arretra del 12,3%.
A livello di territori aggregati, in provincia di Perugia il Pd scende da 124mila 264 a 93mila 009 voti (-31mila 225, 25,7%), in quella di Terni arretra invece del 33,7%, passando da 44mila 556 a 29mila 527 voti (-15mila 029).
A livello complessivo di regione, senza considerare il riparto dei voti dati dagli elettori ai soli candidati all’uninominale del centrosinistra senza barrare alcuna lista collegata, il Pd scende dai 168mila 820 voti delle elezioni del 2013 ai 122mila 266 di quelle del 2018, perdendo 46mila 554 consensi, con un arretramento del 27,6%.
Situazione ancora più drammatica se si fanno i confronti tra i voti ottenuti dai dem nelle elezioni politiche del 2008 (era segretario Walter Veltroni) con quelle del 2018 (segretario Matteo Renzi). Il Pd perde in Umbria il 51,1% dei consensi, passando da 250mila a 122mila 266 (-127mila 734 voti). In provincia di Perugia perde il 49,1% del proprio bottino elettorale (-89mila 673 voti), mentre in provincia di Terni l’arretramento arriva al 56,1% (-37mila 791 voti). Una voragine, un vero tsunami che dimostra come la crisi del Pd sia strutturale, non congiunturale, tanto che in termini di voti ha perso più nelle elezioni del 2013 (segretario Pierluigi Bersani) che in queste. Un declino che appare insomma inesorabile e che ha profondamente cambiato il volto politico dell’Umbria.
Tra i comuni sopra i 10mila abitanti, nel confronto tra 2008 e 2018 il peggio messo è Terni, dove i dem perdono il 59,5% dei consensi (gli è rimasto insomma il 40,5% dei voti che il Pd aveva nel 2008). Ma è tsunami anche a Gubbio (58,7%), Spoleto (-54,3%), Umbertide (-53,8%) e Narni (-53,7%). Anche in questo caso il botto a Perugia è molto pesante (-47,2%), ma decisamente meno forte rispetto a Terni. Da rilevare che in tutti i comuni umbri, grandi o piccoli che siano, il Pd arretra pesantemente nell’ultimo decennio. Basti pensare che il risultato migliore lo ottiene a Sellano, dove arretra comunque del 31,7% tra il 2008 e il 2018.
Secondo Giuseppe Castellini, direttore di datajournalism “social” di Mediacom 043,
quello che emerge da questa indagine a livello di municipi è “che la crisi del Pd, in Italia e ancora di più in Umbria, è strutturale e non congiunturale. In dieci anni le perdite di voti sono infatti impressionanti e hanno già profondamente cambiato la faccia politica dell’Umbria. Una crisi profondissima determinata da un fortissimo desiderio di cambiamento che emerge dovunque e che il Pd non riesce in alcun modo a intercettare e anzi ne è la principale vittima, insieme peraltro ad altre forze della sinistra. Forza centrale dell’Umbria per tutto il secondo dopoguerra, il centrosinistra sembra incapace di interpretare la nuova fase ed è prevedibile che, a parte qualche caso, anche le prossime elezioni amministrative determineranno grandi cambiamenti nelle amministrazioni comunali, restringendo ancora quelle governate dal Pd-. Queste le tendenze di fondo – continua Castellini – che sono molto forti e che appaiono difficilmente invertibili nel breve periodo. L’analisi del voto di un decennio dice che una pagina storica si è chiusa definitivamente e se ne è aperta una nuova. Cosa ci sarà scritto e chi la scriverà, staremo a vedere. C’è comunque la questione centrale del cambiamento profondo chiesto dai cittadini con il voto, che ovviamente significa il messaggio a tutto un ceto dirigente perché si faccia da parte. Cosa facile a dirsi, ma molto difficile a farsi. Quello che sembra prevalere è invece la strada di un rinnovo programmatico e dell’offerta politica da parte dello stesso ceto dirigente del centrosinistra. Basterà questo a risollevare i destini del Pd? Ad oggi pare proprio di no”.