Mercoledì 11 maggio, si terrà, a Terni, presso l’Hotel Garden, alle ore 17,30, un convegno di presentazione della terza edizione dell’indagine “Il Lavoro che Cambia” promossa dall Associazione Lavoro&Welfare, da Assolavoro e dal Dipartimento di Scienze sociali ed economiche dell’Univeristà di Roma “La Sapienza”, che ha condotto l’analisi dei dati raccolti da YouTrend. La ricerca analizza come cambiano il lavoro e gli atteggiamenti e le domande dei lavoratori in Italia.
Come le precedenti questa indagine aiuta a mettere a fuoco, grazie ad una ricca mole di dati ed elaborazioni quantitative, le novità positive, le criticità e i problemi che attraversano il mondo del lavoro nel nostro Paese. Le precedenti indagini erano state svolte nel 2002 e nel 2009. Il carattere periodico delle indagini permette un utile raffronto sui mutamenti del lavoro e del sentiment dei lavoratori italiani ed offre ai dirigenti delle forze politiche e sociali informazioni e riflessioni preziose per realizzare un rinnovato e più elevato rapporto con il mondo del lavoro nelle sue varie articolazioni.
La relazione introduttiva sarà tenuta da Mimmo Carrieri, dell’Università La Sapienza di Roma.
Interverranno:Cecilia Cristofori, Università di Perugia; Attilio Romanelli, Segretario Cgil Terni; Riccardo Marcelli, Segretario Cisl Terni; Gino Venturi, Segretario Uil Terni; Antonio Alunni, Presidente Confindustria Umbria; Fabio Paparelli, Vicepresidente Regione Umbria con delega alle Politiche Attive del Lavoro.Le conclusioni saranno di Cesare Damiano. Modera Giovanni Rubini di Lavoro &Welfare Umbria.
ALCUNE ANTICIPAZIONI SULL’INDAGINE
Il primo dato che emerge dall’Indagine è una inadeguatezza di salari e redditi
dei lavoratori dipendenti e autonomi, cui si aggiunge una sottoretribuzione di
genere, di generazione, di territorio, di istruzione. La retribuzione è mediamente
più bassa nel commercio, trasporti, ristorazione; più alta nella pubblica amministrazione,
nel settore dell’istruzione, nella sanità e cresce in relazione alla dimensione
aziendale. Si estende il rischio povertà, con l’aumento dei lavoratori poveri
e, come si dice oggi, della “povertà nonostante il lavoro”.
Un’altra tendenza è l’avvicinamento delle condizioni di lavoro – ma verso il basso
– tra dipendenti e autonomi. I redditi dei giovani professionisti sono molto vicini
a quelli dei giovani dipendenti precari. E’ stato giusto perciò, nella scorsa legislatura,
varare lo Statuto del lavoro autonomo e l’equo compenso.
Si avverte un miglioramento delle condizioni ergonomiche in azienda, ma i lavoratori
non si sentono coinvolti nei processi di riorganizzazione e partecipazione
aziendale.
La novità maggiore è la scarsa fiducia che i lavoratori esprimono nella politica:
il 67,8% dichiara di non sentirsi rappresentata dalle forze politiche senza grandi
differenze tra destra, centro e sinistra. Questa disaffezione ha trovato ampia conferma
nelle elezioni politiche del 4 marzo. Tuttavia, il malessere tocca anche la
rappresentanza sindacale.Questi dati critici non sono però accompagnati da una scelta di individualismo
o di chiusura. Anzi, la richiesta di una adeguata protezione sociale, di un nuovo
ciclo di diritti, della tutela dei beni pubblici e di un rinnovato riformismo ampio e
universale è molto evidente tra i lavoratori intervistati. Una sfida da raccogliere.
La principale rottura rispetto alle precedenti edizioni della nostra indagine consiste
in quella che con qualche eufemismo potremmo definire ‘l’evaporazione della
politica’ . Le Italie del lavoro dei precedenti rapporti erano caratterizzate da forti
identità politiche che alimentavano i confini tra i diversi gruppi e coltivavano le
loro differenze. Alcune delle variabili importanti presenti in passato continuano
ad operare significativamente anche nella fase attuale . Ad esempio la variabile
culturale ( il livello di formazione scolastica) continua ad operare come un discrimine,
dal momento che i lavoratori con titoli di studio più elevati si collocano in
prevalenza nel centro-sinistra, e quelli con titoli di studio più bassi guardano in
maggioranza a destra , ed ora anche al M5stelle (che ovviamente non esisteva
ancora nelle nostre precedenti indagini). Quello che cambia , ed in modo radicale,
è il peso della collocazione politica nella vita e nelle scelte dei lavoratori. Quando
più di due terzi dei rispondenti dichiara di non sentirsi rappresentato politicamente
in quanto lavoratore ci troviamo non davanti ad una crisi passeggera ma
ad un terremoto che ha prodotto il crollo di un intero modo di pensare e di leggere
il mondo. E’ la caduta della rappresentanza politica e della legittimazione
sociale dei nostri partiti ( almeno nell’ambito del mondo del lavoro).
Questo terremoto investe in modo particolare quanti si collocano nel centrosinistra
, come mostra bene con le sue elaborazioni Maria Concetta Ambra: è
in questa fetta dello spettro politico che i dati offrono il maggior divario tra
le domande e l’offerta partitica, e si registra senza appelli il maggiore deficit di
rappresentanza.
Dunque le Italie del lavoro, che qualche anno fa ci sembravano due, risultano
oggi in aumento come risultante di una maggiore disgregazione del tessuto sociale
e delle stesse appartenenze politiche: ma le preferenze politiche ( che comunque
restano sullo sfondo, per quanto attenuate) incidono assai meno sui loro
caratteri costitutivi.
Un secondo aspetto di novità riguarda la scelta di focalizzare l’attenzione in modo
maggiore che in precedenza sul lavoro autonomo. In questo modo si fornisce una
visione più completa delle diverse facce del mondo del lavoro e diventano possibili
confronti più ricchi. Questa scelta è stata premiata dalle scoperte interessanti
ottenute mediante l’analisi in profondità degli autonomi, condotta anche attraverso
un occhio comparato con lo spaccato del lavoro dipendente.
I confini tra i lavoratori autonomi e i dipendenti , visti nel loro insieme ( e cioè
non mettendo al centro le differenze persistenti dei gruppi di punta) tendono a
diventare più evanescenti, tanto da rendere meno evidenti le tradizionali fratture.
Emerge in modo sorprendente, al punto da richiedere una forte enfasi, un
avvicinamento tanto nelle condizioni materiali e nei principali problemi che attraversano
i due aggregati, che nella individuazione delle terapie e delle possibili
risposte di policy.
Abbiamo già rilevato come il mondo del lavoro si senta trascurato se non abbandonato
dalla politica e dai partiti. L’enormità del numero di intervistati che
dichiara di non sentirsi rappresentato da nessuno nella sfera politica si presenta
come incontrovertibile. Basti pensare che il numero di quanti esprimono questa
opzione è più che raddoppiato rispetto alla indagine precedente (interviste condotte
nel 2009 mediante la stessa domanda). Ci troviamo di fronte ad una vera
slavina che ha investito la politica e i partiti.
Questo dato sicuramente si caratterizza come quello di gran lunga più traumatico,
specie per quanti hanno immaginato che i partiti di sinistra dovessero coltivare
e rafforzare le loro radici nel mondo del lavoro. Ma se alcune tracce di questo
antico legame si intravedono – specie negli orientamenti di voto degli iscritti alla
Cgil – esse appaiono nell’insieme sbiadite se non spente.
Prevalgono il distacco e la delusione, lo scettiscismo verso le iniziative politiche
degli anni scorsi (dal jobs act alle leggi Madia), il pessimismo verso il futuro.
Questo vuoto aiuta a capire l’importanza del ruolo svolto a lungo, spesso con
successo, dalle organizzazioni di rappresentanza collettive , politiche e sindacali,
che hanno fornito ai lavoratori e alla società i canali per articolare e aggregare
meglio domande ed interessi. Certo l’attività di intermediazione di una realtà sociale
divenuta più complessa e diversificata si presenta come una vera e propria
fatica di Sisifo, forse frustrante. Ma non per questo meno necessaria e utile. Ed
anzi questo vuoto e le difficoltà che emergono dai nostri dati aiutano a capire la
razionalità imperfetta dell’operazione denominata come ‘disintermediazione’ ,
che ha catalizzato tante attenzioni nel corso della legislatura appena terminata.