Duemila ternani hanno messo la firma sotto un documento che chiede che il nuovo Verdi sia quello vecchio. Gli altri 108 mila, però, la firma non ce l’hanno messa. Perché quei duemila dovrebbero contare di più rispetto a tutti gli altri? Eppure si appellano alla democrazia, al diritto al dissenso che scambiano col diritto ad avere per forza ragione.
Loro vogliono il teatro come lo fece Luigi Poletti, l’“Architetto del Papa” attorno al 1840, quando Terni faceva parte dello Stato Pontificio, il cui governo faceva e disfaceva con una certa non curanza, tanto che le città suddite cercavano di captarne la benevolenza. Che c’entrasse anche l’incarico dato all’architetto che il Papa magnificava per come gli aveva restaurato la chiesa di San Paolo fuori le Mura? Un fatto è certo: Poletti di teatri ne fece tre: a Terni, a Rimini e a Fano, tutte e tre città pontificie.
A Rimini e Fano – luogo, quest’ultimo, noto ai ternani soprattutto per le indicazioni stradali lungo la statale Flaminia – hanno speso somme notevoli per ammodernare quei teatri di Poletti nel tentativo di renderli più vicini alle esigenze degli spettacoli di oggi. Ai quali non si va in carrozza e frack, tra lo svolazzare di veli di dame inghirlandate. Pensare a ricostruire tale e quale quel passato sembra più che altro un’operazione nostalgia.
Comunque si è perso tanto, troppo tempo attorno a questa faccenda del Poletti. Si sono confrontati coloro che vorrebbero una città che avesse tanto rispetto della propria storia da pensare che di quella storia faccia parte anche il XXI secolo, di cui non ci saranno segni se si continua nell’operazione nostalgia che doterebbe la città di una serie di falsi (tale sarebbe il progetto del Poletti rifatto quasi duecento anni dopo), un città così come compare nella carta del XVII secolo magari.
E’ sicuramente meno impegnativo rifare pedissequamente quel che c’era anche se nel frattempo esso è finito sbriciolato sotto le bombe degli aerei americani e inglesi; richiede meno preparazione, meno tecnica e permette a qualche guitto che si proclama acculturato di sparare a destra e a manca sentenze da incompetente assoluto.
Tanto dibattito attorno al Verdi ha avuto un solo risultato: che ci si è ingabbiati in un progetto che non è né carne né pesce, un po’ di tutto e un po’ di niente, e “ingessato” nel rifacimento di quel teatro comunale a sua volta rifatto dopo il passaggio dei bombardieri.
Allo stato dell’arte il Comune affretta perché ormai quel che è fatto è fatto, perché ha la fregola di inaugurare, perché i soldi sono già pochi e più tempo passa e meno basteranno. E c’è chi riparte, chi tra incensamenti e slinguazzamenti all’assessore ai Lavori pubblici, vorrebbe riaprire la discussione. Così si ricomincerebbe inutilmente da capo. Un’altra lunga discussione, altro estenuante braccio di ferro tra esperti veri (pochi) e chi crede di esserlo (tanti). Ma il risultato potrà essere diverso?
Intanto si perde tempo, denaro e occasioni. In ormai tristemente tradizionale corsa al ribasso, alla mortificazione di ogni idea, in una disdicevole “fiera delle mediocrità”.