“I siti produttivi della nostra unità AST sono esposti al rischio di cali di produzione, ma noi stiamo contrastando questi rischi principalmente attraverso la manutenzione preventiva, la modernizzazione e gli investimenti”. Parola di Heinrich Hiesinger, allora numero uno della ThyssenKrupp. Era il mese di novembre dello scorso anno e Hiesinger parlava agli stakeholders riuniti per la presentazione dei conti della multinazionale tedesca.
Che la sorte di Ast non fosse già decisa si capiva in considerazione di quanto accaduto storicamente a partire dalla vendita dell’Ast a Outokumpu (grande gruppo in cui ThyssenKrupp aveva una consistente partecipazione azionaria). Ast che poi, per questioni di regole antitrust, tornava in Tk come un cugino di campagna che si ospita storcendo la bocca; Ast che sarà comunque venduta dissero i “capi” della Tk (e quindi Hiesinger, tre anni dopo, non stava annunciando niente di sensazionale) ma dato che nessuno gli correva appresso l’avrebbero venduto solo quando sarebbe stato possibile piazzarla ad un prezzo congruo.
E’ da allora che, qui da noi, è cominciata la canea: la compra questo, la compra quello, la piglia quest’altro e via supponendo. Fino al punto che quel dibattito basato su pochi dati di fatto ha determinato persino la nascita di schieramenti (e, in qualche caso, di coagulo di speranze per soddisfare propri piccoli interessi) a favore di questa, quella, quell’altra soluzione.
E’ passata acqua sotto i ponti, nel frattempo. Si è assistito in sequenza al confinamento di Ast nella divisione “Materials” dove continuava ad essere il parente povero, ma ciò accadeva mentre ad Essen si fronteggiavano i fautori di una Tk gigante della Finanza e coloro che nel cuore (ma anche nel portafogli) conservavano l’immagine di una potente siderurgia tedesca che malauguratamente rinunciava al proprio imprinting. E’ poi arrivato l’accordo con la Tata, e quella è interessata all’acciaio più che alla finanza tout court, o alla fornitura di progetti.
Hiesinger ha passato la mano, gli “acciaieri” sono andati su un piatto della bilancia, i finanzieri sull’altro e l’ago si è mantenuto diritto. Mentre Tata, entrando in Tk, si è trovata, in un modo o nell’altro a disporre anche di una fabbrica impiantisticamente a posto, rimasta uno dei pochi produttori europei di acciaio inossidabile di qualità, in attivo per 90 milioni di euro, con un giro d’affari di qualche miliardo. Ma perché vendere alla leggera o riporre in un cantuccio una fabbrica così? Oltretutto per quella fabbrica – a suo tempo parola di Hiesinger – si erano pevisti investimenti ed interventi industriali per evitare che andasse in perdita, caso in cui – si ricordino le dichiarazioni dello stesso Hiesinger – allora sì che si sarebbero avviate le procedure di cessione.
E’ davvero un colpo di scena così inaspettato quello annunciato dall’Ad Massimiliano Burelli per cui ThyssenKrupp l’Ast se la terrà e anche che l’ha inserita nel core business della divisone “materials”? Altro che parente povero! Casomai cugino di campagna con le scarpe grosse e quel che segue.
Attenzione, comunque, prima di sciogliere peana o assumere toni trionfalistici. Perché comunque la necessità di chiarezza resta e continua a riguardare il piano industriale, l’occupazione, l’impatto ambientale, il rapporto con la città e il territorio, come si dice. Su questi temi, un po’ più complicati – ovvio – saranno chiamati a confrontarsi i “re” del viene questo o viene quello. Poi, si sa, tutto può succedere.
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