Sergio Filippi dirigente di cooperative di lungo corso non le manda a dire alle Centrali cooperative nazionali colpevoli, secondo lui, di essere state insensibili alle dinamiche dell’accorpamento delle aziende che gestivano decine di supermercati in Umbria, con problemi anche occupazionali oltreché di immagine. E così Filippi, che è stato anche assessore al Commercio al Comune di Terni, ha preso carta e penna per dire la sua.
“In oltre quarant’anni di vita da cooperatore non avevo mai visto scioperare i lavoratori contro una cooperativa, se non contro quelle false.
È però successo In Umbria, in Toscana e nel Lazio con l’80% di adesione allo sciopero indetto da tutti e tre i sindacati confederali contro UniCoop Etruria.
Ed è successo nel più totale silenzio delle Centrali Cooperative, nonostante sia un danno di immagine per tutti i cooperatori.
Ed è successo dopo appena sei mesi dal perfezionamento della fusione fra Coop Centro Italia e Unicoop Tirreno spacciata per necessaria (anche alle istituzioni regionali umbre) onde costruire nuovi orizzonti di sviluppo.
È successo perché la dirigenza della nuova cooperativa che vanta oltre 5mila lavoratori ha invece dichiarato la necessità di liberarsi di almeno il 10% di loro e di ben 24 negozi classificati improduttivi.
Tenendo conto che il costo del personale nella GDO incide per circa il 15% è evidente che procedere a tale doloroso taglio e soprattutto in tempi così rapidi (e a ridosso delle festività di Natale) evidenzia come la fusione mascherava in verità la necessità di fronteggiare il rischio di default di una delle due cooperative unificate (o di tutte e due). Ci dobbiamo quindi attendere che il piano di salvataggio non si limiti solo al “taglio” di personale. E se ciò fosse sarebbe ancor più evidente la trasformazione genetica della cooperazione di consumo in un mostro giuridico dove in assenza di padroni e vincoli esterni il management non paga alcun pegno (per alcuni sarebbe un neocapitalismo senza capitalisti).
È quindi una crisi che, con ogni evidenzia, viene da lontano e avrebbe imposto di farla pagare per primo ai gruppi dirigenti che l’hanno provocata.
Ma è una crisi che richiede oggi la messa in sicurezza del patrimonio costruito anche in Umbria da almeno tre generazioni e che necessiterebbe di maggiore trasparenza e rispetto per i lavoratori e le comunità locali, a partire dagli 800mila soci cooperatori (che non sono solo clienti), e le istituzioni locali.
In altre fasi storiche crisi aziendali come queste (ovvero non sistemiche) sono state affrontate per tempo e con piani ad impatto sociale più morbido e gestite con maggiore sensibilità “politica”. La politica, sì, signori; non solo quella dalle cui costole è nato il principio del “capitale e lavoro nelle stesse mani” ma anche quella che vuole contribuire al “governo della polis” con la responsabilità sociale dell’impresa che oggi non è solo un valore della cooperazione ma anche di molte imprese private”.














