Un’esperienza inedita: il voto al tempo del coronavirus. Rinviato il referendum sul taglio dei deputati originariamente fissato per il 29 marzo, in mezza Umbria si vota invece l’8 marzo per eleggere il senatore che prenderà il posto lasciato a Palazzo Madama da Donatella Tesei. Sono poco più di 306mila, di cui 147mila uomini e 159mila donne, gli umbri chiamati alle urne, aperte in sessanta comuni regionali, tutti e 33 quelli della provincia di Terni (168.635 elettori) e 27 in provincia di Perugia (137.747 elettori). Tanto per andare a palmi vota la mezza regione che sta al sud. Si vota dalla 7 alle 23 in 509 seggi, 295 nel Ternano e 214 nel Perugino.
Elezioni suppletive, si chiamano e già quella parola – suppletive -, porta inconsciamente qualcuno a considerarle di secondaria importanza. Come un ché di ripiego. Un senatore, uno in più o uno in meno cosa cambia per gli schieramenti nazionali? Ma non è affatto così.
Questa consultazione, seppur riservata a mezza regione italiana, ha la sua importanza sia per il quadro politico nazionale (in Senato la maggioranza è risicata) e ancor più per le indicazioni che ne verranno nel quadro politico umbro che attreversa – nonostante le apparenze – un periodo di incertezza e di ebollizione.
La consultazione elettorale dell’8 marzo può servire, infatti, a chiarirsi le idee sulla reale consistenza delle forze politiche e degli schieramenti, sul loro essere attaccati alle radici ed alle condizioni degli umbri, dopo i “terremoti” elettorali avvenuti con le politiche del 2018, le successive amministrative, le più recenti regionali.
A dare una risposta in tal senso è stato designato un “campione” molto significativo: il 43 per cento dell’elettorato totale umbro. Sarà la ormai solita cavalcata della Lega e del centrodestra? O si ridimensionerà la misura di un successo schiacciante? Sarà confermata la “triade” così come sei mesi fa per le regionali o ci sarà un rafforzamento dei due poli di centrodestra e centrosinistra a spese del Movimento Cinque Stelle?
Eppure c’è di più. Perché tutto questo, alla fin fine, diventa secondario rispetto all’aspetto più importante legato generalmente alla scelta del rappresentante di un territorio. Lo spirito del collegio uninominale, come in questo caso, implica tra i cittadini e l’eletto un rapporto strettissimo. L’eletto è colui che deve rappresentare i problemi, le questioni, gli interessi della sua gente nell’assise nazionale. Colui che ha il compito di dare, seppur con le limitazioni derivanti dall’esser uno, un senso al concetto dell’autogoverno di un territorio. Un compito, questo, che è ovviamente anche dei deputati, ma che nel senatore si percepisce con un’impronta più marcata.
Certo, non è mica facile! Servono “fiuto politico”, capacità di colloquio, orientamento all’accordo più che alla rottura dei rapporti. Convinzione e consapevolezza del proprio ruolo.
Come può, però, l’elettore saperlo prima? La palla di vetro non ce l’ha nessuno, nemmeno i “miracolati”. Bisognerà fare a fidarsi partendo dalle indicazioni ricavate dalle convinzioni espresse dagli aspiranti al seggio a Palazzo Madama nel corso di una campagna elettorale, seppure svolta in alcune occasioni in sordina anche per determinazione di qualche candidato.
Da parte degli elettori non può esser fatta alla leggera, quindi, la scelta che si compirà prima recandosi al seggio nonostante le complicazione del “tempo del coronavirus”, e poi nella cabina elettorale. Decidere e scegliere tra le proposte, la capacità di individuare le questioni territoriali, e l’inclusione di queste nel quadro ampio della politica nazionale, che non all’amor di schieramento
Una visione romantica e superata della politica, del buon governo, dell’istituto della rappresentanza?
Quattro comunque i candidati: Valeria Alessandrini (Centrodestra), Armida Gargani (Riconquistare l’Italia); Roberto Alcidi (M5S), Maria Elisabetta Mascio (centrosinistra)