DI PIERLUIGI RAINONE
Il Presidente del Consiglio Conte ha annunciato che il 4 maggio partirà la cosiddetta fase 2 la quale sarà caratterizzata da una parziale ripresa delle attività sociali e produttive.
Non voglio tornare su argomenti che sono stati già trattati, quelli relativi alle cause scatenanti questa emergenza e le responsabilità politiche che, affondano in un decennio di tagli alla sanità pubblica, effettuati sia dai governi di centrodestra che di centrosinistra ( 37 miliardi di euro di tagli dal 2008 ad oggi).
Voglio andare subito al tema che mi preme trattare: quello relativo alla transizione in senso ambientale del ciclo produttivo ed alla necessità di cambiare il paradigma che ci è stato propinato fin dalla nascita (quello produttivista e consumista fondato sul presunto legame tra PIL e benessere)
Negli ultimi giorni ho ascoltato delle dichiarazioni, sinceramente sconcertanti, da parte di molti personaggi politici, a cominciare da quelle pronunciate dal segretario nazionale della Lega, che in suo commento, ha sottolineato la necessità di “sospendere il codice degli appalti, i controlli della Soprintendenza, dei TAR, e dell’ANAC” al fine di far ripartire l’economia colpita dalla crisi causata dal Covid19.
Ha, inoltre, aggiunto che sarebbe necessario approvare un condono edilizio.
Queste dichiarazioni, condivise da molti italiani/e, vanno nella direzione opposta rispetto a quella che dobbiamo intraprendere, a cominciare dalla città di Terni rovinata da decenni di cementificazione, di appropriazione privata degli spazi pubblici e di sottrazione di aree verdi e di campagna, sacrificate al mattone delle seconde e terze case (basti vedere la splendida zona di via Macinarotta, solo per fare un esempio)
Il covid19 ci ha fatto capire che la specie umana è parte della natura, non la sua padrona; ci ha dimostrato che la nostra salute è connessa con quella dell’ambiente nel quale abitiamo, ci ha illustrato il nesso esistente tra crisi ambientale e crisi sanitaria.
Preso atto di ciò non è possibile credere che sia possibile rilanciare il vecchio modello di sviluppo fondato sul cemento, sulle grandi opere, sulle industrie inquinanti, sulla rendita fondiaria (nel 2020 non abbiamo ancora una legge che pubblicizzi i suoli per sottrarli alla speculazione edilizia) e sulla follia produttivista (produrre costi quel che costi, come la Lombardia ha tragicamente dimostrato).
Fino ad ora i sindacati confederali hanno sempre sostenuto una visione del lavoro di tipo quantitativo e mai qualitativo (tranne nel periodo radioso degli anni’70); è fondamentale gettare, sin da subito, le basi per un’economia verde, svincolata dalla logica del profitto privato, della produzione di massa rivolta ai consumi di massa la quale era parte legata della visione di tipo Keynesiano (che ebbe il suo apice nel trentennio 1945-75); occorre ripensare il modello mettendo al centro il terzo settore ed il welfare.
La città di Terni, colpita pesantemente da una più che decennale crisi economica-occupazionale deve tornare ad essere protagonista tornando a fare leva sulle sue risorse ambientali, che molti ci invidiano, ma che, purtroppo, sono state, molto spesso, sacrificate sull’altare di un industrialismo senza regole.
Certamente dobbiamo ripartire ma senza fare gli errori (orrori) del passato, remoto e recente.
L’AUTORE E’ SEGRETARIO DEL CIRCOLO VERDI, AMBIENTE E SOCIETA’, SEZIONE DI TERNI.