Leggendo l’articolo sul sito dei neoborbonici mi è venuto in mente un articolo di qualche tempo fa sul vero re V.E. II il savoiardo.
Il vero Vittorio Emanuele II era “aretino” e non ha mai portato la corona. Sì, il figlio primogenito di Carlo Alberto Savoia Carignano e di Maria Teresa d’Asburgo Lorena è vissuto qui, e qui ha generato cinque figli dando vita ad una costola mai riconosciuta della stirpe sabauda, che dura ancor oggi. L’ “altro” Vittorio Emanuele II, il primo Re d’Italia, “il Re galantuomo”, quello dei libri di storia, con i baffoni, quello dell’Incontro di Teano e delle scappatelle con “la bella Rosina”, in realtà non sarebbe stato il figlio naturale della coppia reale: venne adottato per necessità dopo un incendio che aveva divorato la culla con il principino ancora piccolo. Il nuovo bebè fu acquistato da un macellaio di Firenze per essere allevato e consegnato al regno. Mentre il bebè ustionato venne allontanato e portato ad Arezzo. Fantastoria? Non proprio. E’ ciò che riemerge da polverosi documenti d’archivio, memorie familiari coperte per decenni dal silenzio. Un sospetto che può sfociare in una clamorosa operazione di riconoscimento. E la prova regina, in questi casi, può darla solo e soltanto il test del Dna. L’inizio del giallo reale si colloca tra il 1820 e il 1822 a Firenze. Con un incendio. Carlo Alberto e la moglie Maria Teresa, figlia del Granduca Ferdinando, erano in visita a Firenze col loro figlio. Una candela provocò le fiamme nella camera dove dormiva il bambino. Che rimase vittima del rogo. Il piccolo sarebbe stato sostituito col figliolo del popolano fiorentino Maciacca. Questo episodio, per quanto nebuloso, è già noto e oggetto di varie pubblicazioni. Tra gli stessi ministri dell’epoca in cui Vittorio Emanuele II era re, tra cui lo stesso Cavour, la questione delle origini “non pure” del sovrano, era nota. A Firenze, poi, il macellaio padre del pargoletto prescelto diventò improvvisamente ricchissimo. Ma non è tutto: Vittorio Emanuele II non assomigliava per niente al babbo, nella statura alta e nel carattere, e neanche al fratello Ferdinando, che nacque dopo. Il primo sovrano dell’Italia unita era basso e tarchiato. Fin qui, comunque, nulla di nuovo. Anche se la storia ufficiale non si è mai presa la briga di verificare o ufficializzare l’accaduto. La cosa inedita, dirompente, che finora nessuno ha mai sollevato, è che il bambino vittima del rogo, il vero Vittorio Emanuele II, non sarebbe affatto morto nelle fiamme. Ustionato, pur gravissimo, venne affidato ad un ospedale che doveva essere lontano da Firenze. Fu scelta la Valdichiana aretina. Poi è cresciuto, si è sposato, ha avuto figli. Dove? Ad Arezzo. Al bimbo fu sostituito il nome, per ovvie ragioni. Fausto. E da lì è scaturita una stirpe che oggi, a distanza di 150 anni dall’Unità d’Italia e a 190 da quei fatti, potrebbe rivoluzionare d’un colpo capitoli di storia e l’albero genealogico dei Savoia, che dopo quell’incendio fu irrobustito e innervato di sangue reale con unioni scelte ad hoc: Vittorio Emanuele II sposò una Asburgo Lorena e Umberto I Margherita di Savoia. Poi, per recuperare la “statura” di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele III si è unito a Elena principessa reale del Montenegro. Il giallo reale, manco a dirlo, è blindatissimo. La materia è delicata e per questo i discendenti del presunto ramo sabaudo autentico si stanno muovendo con la massima discrezione e prudenza. Da quel che si sa, il bambino sopravvissuto alle fiamme, nei primi anni di vita sarebbe stato seguito e monitorato a distanza, dalla Casa Reale e dal Granducato. Venne affidato a famiglie patrizie tra la Valdichiana e Arezzo. Prese moglie ed ebbe dei figli. Cinque. Poco alla volta la sua discendenza si è introdotta in Arezzo. Sempre tenuta sotto un’invisibile ala protettrice. Le generazioni che si sono susseguite hanno mantenuto fede al silenzio. Dagli inizi del Novecento i discendenti in linea diretta hanno lasciato la città, sebbene vengano spesso ad Arezzo proprio per riannodare le radici e ricomporre le tessere del mosaico storico. Ora si controllano carte, si incrociano date, in vista della comparazione del patrimonio genetico. Si devono mettere a confronto il dna dei genitori, quello dell’aretino Fausto (che è sepolto in terra aretina) e il patrimonio genetico dei suoi ultimi discendenti. Il giallo reale entra nel vivo.
fonte saturnonotizie.it