Nel 2023 il Pronto Soccorso dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia ha registrato 70.141 accessi (al netto dei pediatrici e ginecologici) mentre nel 2022 erano stati 59.931; in quello di Terni sono stati 48.871 nel 2023 contro i 41.024 del 2022. Il tutto con 21 medici effettivi in servizio in quello perugino e 16 in quello ternano. Sono questi i numeri degli accessi dei Pronto Soccorso delle due aziende ospedaliere dell’Umbria che impongono ai professionisti sempre di più un’oculata gestione e preparazione anche sulle infezioni in generale, come ad esempio la sepsi e lo shock settico. Questa è diventata una delle maggiori sfide che devono affrontare i Dipartimenti di emergenza. In alcune circostanze si tratta di veri e propri scenari clinici tempo dipendenti che coinvolgono tutta l’equipe di Pronto Soccorso già a partire dalla fase di triage.
La sepsi è la grave complicanza di un’infezione, che danneggia tessuti e organi compromettendone il funzionamento e che può portare a shock, insufficienza multiorgano e morte, soprattutto se non riconosciuta e non trattata prontamente. Solo in Umbria si è verificato un progressivo incremento dei ricoveri per sepsi da 2.040 nel 2014 a 3.003 nel 2017 con una mortalità superiore al 30%. Nel mondo si registrano 47-50 milioni di casi di sepsi, responsabile di almeno 11 milioni di decessi/anno; inoltre, tra i sopravvissuti, fino al 50% soffrono di sindrome post-sepsi, caratterizzata da sequele fisiche e psico-cognitive persistenti nel tempo e a lento recupero. In Italia, il numero di certificati di morte che hanno riportato sepsi come diagnosi è aumentato da 18.939 nel 2003 a 49.010 nel 2015 (dal 3 all’8% di tutti i decessi in Italia registrati in questi anni). La sepsi rappresenta, quindi, non solo una sfida clinica, ma anche un importante problema di salute pubblica.
Di questo si è parlato nel corso del convegno dal titolo “Le infezioni in Pronto Soccorso. Tutto quello che bisogna sapere”, di sabato 27 gennaio, a Terni. Hanno portato i loro saluti istituzionali Vincenzo Nicola Talesa, direttore Dipartimento di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Perugia; Piero Carsili, direttore generale Usl Umbria 2; Pietro Manzi, direttore sanitario Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni e Giuseppe Donzelli, presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Terni mentre sono intervenuti sull’argomento i migliori esperti del settore, provenienti anche dalle due aziende sanitarie umbre. I responsabili scientifici del convegno sono stati i dottori Giorgio Parisi, direttore della struttura complessa di Pronto Soccorso e Accettazione dell’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, e Paolo Groff, direttore della struttura complessa di Pronto Soccorso e Accettazione dell’Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia.
“E’ importante parlare delle infezioni in Pronto Soccorso – ha dichiarato Giorgio Parisi – perché è un tema che nel corso degli anni è diventato sempre più emergente. Le infezioni molto spesso sono correlate a patologie tempo dipendenti, come ad esempio la sepsi o lo shock settico, ma ci sono altre situazioni che oggi, come mai rispetto al passato, devono essere inquadrate nella fase iniziale per cui il Pronto Soccorso sta diventando sempre più luogo di inquadramento dove si assiste ad un trattamento di queste patologie infettive. Il convegno di oggi vuole essere un momento di studio, di analisi sulla fisiopatologia e sul trattamento antibiotico, di queste patologie”.
“E’ molto importante garantire ad un paziente con sospetta sepsi – ha sottolineato anche Paolo Groff – un percorso diagnostico e terapeutico coerente. Questo percorso deve poter garantire una rapidità di diagnosi e soprattutto una rapidità di trattamento. Le evidenze ci dicono, infatti, che prima agiamo e meglio agiamo sul paziente con sospetta sepsi e migliore saranno i risultati ottenuti dal trattamento e la sua sopravvivenza. Per questo motivo è importante garantire il flusso del paziente attraverso le strutture del Pronto Soccorso a partire dal triage. Questo per consentire al paziente di arrivare quanto prima al prelievo per l’analisi microbiologica e alla conseguente terapia antibiotica, che dovrà tenere conto dei fattori di rischio del paziente”.